«Forse il pittore più dotato di spirito che noi conosciamo, il più moderno e il più contemporaneo»: così Vittorio Sgarbi definisce El Greco. In effetti, ammirando le sue opere lungo il bel percorso espositivo milanese, aperto fino all’11 febbraio a Palazzo Reale, si respira una profonda spiritualità, che ci trasporta in un mondo trascendente che ci tocca ed emoziona a distanza di secoli. Perché l’artista possedeva «una capacità unica di superare la barriera del tempo».
El Greco, pseudonimo di Domínikos Theotokópoulos, nacque a Candia (Creta) nel 1541 e morì a Toledo, in Spagna, nel 1614. Il suo primo punto di riferimento furono le icone ortodosse, in un ambiente manifestamente bizantino e orientale, che per lui sarà uno spunto da rinnovare, quando abbandonerà l’isola natia e la cosiddetta maniera greca. Si trasferì infatti giovanissimo a Venezia (era cittadino veneziano in quanto Creta era un possedimento della Serenissima), dove poté confrontarsi con Tiziano, Bassano, Tintoretto e Veronese e apprendere le nuove tecniche rinascimentali. Imparò la prospettiva, la costruzione figurale, la capacità di mettere in scena narrazioni elaborate, adottando però un uso personalissimo del colore, accompagnato dalla scelta di linee sinuose e allungate: lo stile di El Greco, diventato inconfondibile.
«Prese da ciascun artista in maniera eclettica e con assoluta libertà ciò che più gli si confaceva»: da Tiziano le pennellate di colore sciolte e quasi approssimative, da Bassano gli effetti notturni e l’illuminazione artificiale, da Tintoretto l’inquietudine spirituale e il senso tragico della storia, da Michelangelo (scoperto a Roma) la grandiosa concezione del corpo umano. Tutte lezioni di autentici maestri, che risuonano nelle sue tele, ma in una sintesi originalissima che tra l’altro crea un ponte tra Oriente bizantino (l’origine del pittore) e Occidente rinascimentale, per mostrare come l’arte sia davvero il regno dello spirito. In Italia però l’artista cretese non fu valorizzato quanto sperava e così partì per la Spagna nel 1576 per rendere celebre con la sua arte la città di Toledo, che gli riconobbe finalmente il successo meritato.
Ci cattura e commuove in mostra la figura allungata del Cristo agonizzante con Toledo sullo sfondo, ricca di sfumature e abbagliante sul fondale cupo della città. Così come ci attraggono in modo irresistibile anche il volto e lo sguardo di Gesù dell’Orazione nell’orto, in cui il contrasto dei colori esprime vividamente l’angoscia del momento, ma pure la serena fermezza del Figlio, che accetta obbediente il destino assegnato dal Padre. Non meno impressionante è il San Giovanni Battista con la figura quasi esageratamente emaciata del Santo sullo sfondo di un delicatissimo cielo azzurro, attraversato da nuvole grigie e bianche: comunione con Dio e penitenza incarnate in un corpo quasi fluttuante.
Non è stato facile per El Greco dipingere la santità ai tempi della Controriforma, con le rigide norme a cui doveva sottomettersi anche la creazione artistica, per salvaguardare la verità in un’epoca di errori e superstizioni. Ma le sue opere non perdono fascino e continuano a raccontare il Vangelo in modo da suscitare profonda emozione e devozione sincera. In tele ricche di personaggi, colori e movimenti che quasi ci turbano. Nel famoso Battesimo di Cristo, per esempio, rinunciando a «qualsiasi parvenza di naturalismo» cerca di rappresentare un mondo interiore che porta l’osservatore a diventare testimone di un evento soprannaturale, in una dimensione sacra: «Il cielo e la terra si fondono per dare vita a un mondo nuovo che non rispetta più alcuna legge fisica», popolato da figure estatiche ondeggianti.
Persino l’Adorazione dei pastori, in un paesaggio notturno con giochi di luce attorno alla bianchissima figura del Bambino, è popolata da personaggi un po’ scomposti nei gesti e negli sguardi: quanta umanità vera circonda la luce divina del Salvatore. E movenze quasi convulse le troviamo anche nella Cacciata dei mercanti dal tempio, in cui la bianca struttura architettonica classica sullo sfondo contrasta con i corpi in fuga dei mercanti, scacciati da un Gesù dallo sguardo però affabile. Gli stessi occhi sereni di Cristo che porta la croce, accarezzata con dolcezza dalle bellissime mani, lunghe e affusolate.
Nel cammino espositivo profondamente religioso di El Greco non possiamo non citare infine Le lacrime di San Pietro, col suo chiaro messaggio: la salvezza divina giunge a noi col pentimento e il perdono, così struggenti di amore nelle lacrime dell’apostolo che ha sì tradito, ma che Gesù ha scelto come suo vicario. La commozione finale ci viene donata dalla spettacolare Incoronazione della Vergine, un tondo dipinto per essere contemplato dal basso verso l’alto (di sotto in su), che infine conduce l’osservatore verso le altezze a cui El Greco, artista immerso nel soprannaturale, voleva condurre i suoi ammiratori.
(Foto: El Greco, Battesimo di Cristo e Orazione nell’orto)