di Alfredo Mantovano
su «Tempi»
Volete vendere la vostra vecchia automobile, del valore di qualche centinaio di euro? Dovete comunque ricorrere all’atto pubblico, cioè spendere denaro e compiere qualche adempimento formale. Pensate di disfarvi di un garage intestato alla nonna, che in famiglia non serve a nessuno? Tra visure catastali e atti notarili, inclusa la procura a vendere della proprietaria magari inabile, la questione è ancora più complicata e onerosa. Avete deciso di disporre della vostra vita con una dat? E che problema c’è? Bando alle forme! Per l’articolo 4 comma 6 della legge approvata qualche settimana fa dalla Camera (già iscritta con tempismo all’ordine del giorno del Senato), «le dat devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, quando ricorrano i presupposti di cui al comma 7». Che cosa dice a sua volta il comma 7? Dice che «le regioni che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica (…) possono, con proprio atto, regolamentare la raccolta di copia delle dat, compresa l’indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al fiduciario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili».
Cerchiamo di capire. Mentre per trasferire un rudere o un veicolo da rottamare è sempre necessario il notaio, per decidere della vita o della morte di una persona basta, in alternativa all’atto pubblico, una scrittura privata autenticata o addirittura un foglietto firmato da consegnare al comune. La logica della legge è che la vita conta meno della vettura e del box che la custodisce. Esagerazione? Mica tanto, se il principio ispiratore della legge stessa è che, per la prima volta in Italia, la vita è un bene disponibile, in contrasto col principio della indisponibilità inscritto nella Costituzione e nel complesso delle leggi ordinarie, all’interno di una tradizione ininterrotta di civiltà giuridica. Per l’articolo 1 comma 5 il paziente può esprimere «la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza»: rientra nella sua libera determinazione, alla quale il medico ha l’obbligo di dare seguito, decidere di non assumere o non proseguire quel che è necessario per mantenersi in vita. L’ordinamento in cui le nuove disposizioni sono inserite diventa contraddittorio, perché altri beni, finora meno rilevanti della vita, restano indisponibili. Pensiamo alle ferie: ogni lavoratore è tenuto a svolgerle senza che ne possa proporre la commutazione in indennità aggiuntive. Il periodo di ferie è più importante dell’esistenza di una persona?
Quando viene meno un pilastro
Non si capisce poi chi custodisce le dat, se formalizzate in un atto pubblico o in una scrittura privata autenticata: la legge non lo precisa. Se invece optate per andare in comune col foglietto non autenticato, è previsto che la dat sia annotata «in apposito registro, ove istituito». E se il registro non viene istituito? Non vi è una norma di delega al governo perché preveda un modello unico di registro per ogni comune: che sarebbe il minimo, visto che sono in gioco diritti personali fondamentali. Ma pure la raccolta delle dat da parte delle regioni è eventuale: dipende sia dalla avvenuta adozione della gestione informatica dei dati sanitari, sia dalla scelta di inserirvi le dat. E quand’anche ricorrano entrambe le condizioni, la raccolta non sarebbe mai completa, dipendendo comunque da quel che decide il fiduciario. Peraltro – come per le eventuali incombenze dei comuni – manca una norma di rinvio a un registro omogeneo per ogni regione. In un tale quadro, come farà il medico a sapere che esistono le dat per il paziente che ha in cura? Come agirà se il fiduciario non è stato nominato o se, nominato, non è reperibile?
Meno di un anno fa sul lungotevere Flaminio, a Roma, la proprietaria di un appartamento all’ultimo piano di un edificio degli anni Trenta pensò bene di eliminare un pilastro per realizzare una ristrutturazione. Il pilastro fu tolto solo dalla sua abitazione, ma dopo un po’ crollò l’intero palazzo. L’ordinamento giuridico non funziona in modo diverso: se elimini una colonna fondante, ti dà anche l’impressione di un open space alla moda. Ma poi frana. E le pietre rovinano su tutti