di Rino Cammilleri
Tutti sanno ormai chi è Ettore Gotti Tedeschi. Il grande pubblico si è accorto di lui quando, con procedura inaudita, è stato defenestrato dalla presidenza della banca vaticana, lo Ior.
Quasi tutti i vaticanisti hanno ricostruito il retroscena così: Gotti Tedeschi era stato chiamato nello Ior per fare ordine e allineare l'Istituto per le Opere di Religione agli standard internazionali di trasparenza; Gotti Tedeschi aveva posto mano all'opera con zelo, ma quest'ultimo era stato giudicato eccessivo da chi, in fondo, forse voleva che le cose restassero com'erano. Da qui la pedata. Sarà esatta questa ricostruzione? Chi lo sa. In verità non lo so nemmeno io (mi scuso se parlo in prima persona), che del Gotti Tedeschi sono amico di lungo corso e insieme al quale ho fatto un libro-intervista: Denaro e Paradiso (Piemme, riedito da Lindau e tradotto all'estero). Gliel'ho chiesto, certo; anzi, a fattaccio caldo, gli ho subito proposto di fare un altro libro-intervista nel quale rivelare la sua versione del caso. Ma, niente. Presumo che aspetti una riabilitazione a tutto campo «dall'alto», perché lui è davvero un cattolico di ferro. Per questo, a suo tempo, Benedetto XVI avallò la sua chiamata allo Ior. Ma, com'è noto, ben altri eventi hanno occupato i vertici vaticani da allora e, nel frattempo, lo stile-ovatta ha ripreso il suo placido corso. Intanto, una prima soddisfazione il Gotti Tedeschi l'ha avuta dalla magistratura italiana, che l'ha completamente scagionato da una questione di transazioni, sempre nello Ior, poco trasparenti. E il vecchio board che l'aveva giubilato è stato sostituito. Lui è tornato al suo antico mestiere di presidente per l'Italia del Banco di Santander, alle sue lezioni universitarie e agli altri incarichi che detiene, qua e là, nel mondo bancario. Ma anche a quello che è il suo pallino personale: l'etica economica. Per esempio, sono anni che, in ogni consesso, scritto e orale, va dicendo che la causa dell'attuale crisi è demografica, che è a furia di non fare figli che ci siamo ridotti come stiamo. In termini strettamente economici: stagnazione, aumento spropositato dei costi fissi, fiscalità insopportabile, aggressione del risparmio. In una spirale che può solo discendere. Gotti Tedeschi non a caso ha cinque figli.
Ora, queste sue quasi einaudiane «prediche inutili» le ha impilate in un libro dal titolo che sembra provocatorio: Amare Dio e fare soldi. Massime di economia divina (Fede & Cultura, pp. 223, euro 15,00). Provocatorio, dicevamo, perché quella che nel Medioevo veniva definita «eresia pauperista» oggi, a furia di vedere spot pro 8xmille, nella testa di molti sembra essere diventata il modo stesso, l'unico, di essere cattolici. Ma, sempre nel Medioevo, proprio i teologi francescani sdoganarono la ricchezza, anche perché c'è poco da redistribuire se prima non si produce. Questa banalissima verità è squadernata in lungo e in largo da Gotti Tedeschi in quattrocento tra massime e pensieri, alcuni brucianti come aforismi, altri più largamente esposti. Un assaggio: «Qualcuno sostiene che nessuno abbia saputo prevedere i rischi della finanza globale e le conseguenze che stiamo vivendo. Non è vero. È vero invece che, avendo avuto, le previsioni di questi rischi, spiegazioni di carattere morale, sono state trascurate con indifferenza e delegittimate. La finanza ha voluto imporre una sua autonomia morale, le conseguenze sono evidenti». Già: il nostro mondo è abituato a sentirsi dire che la morale non c'entra con gli affari, ignaro del fatto che la morale è una branca della teologia e che questa viene insegnata, per esempio, nelle università di quella Germania che, guarda un po', fa le scarpe a tutti in campo economico.
Tommaso d'Aquino, il più grande dei teologi, risolse il fondamentale problema del «prezzo» delle merci per via morale. Marx, nel Capitale, si ostinò ad affrontarlo in chiave esclusivamente economica (la «teoria del valore-lavoro») e sappiamo quale disastro planetario ne è seguito.