Le istruzioni che i vescovi di Malta e di Gozo, Charles Jude Scicluna e Mario Grech (nella foto), hanno dato il 13 gennaio ai loro sacerdoti, per la messa in pratica del controverso capitolo VIII di “Amoris laetitia”, indicano che due divorziati risposati che convivono more uxorio possono accedere alla Santa Eucaristia.
L’interpretazione fornita dai vescovi di Malta si colloca nella linea già tracciata dai vescovi della regione di Buenos Aires (Argentina), seguita dalla lettera di condivisione del Papa stesso. E’ significativo che queste linee guida maltesi siano state pubblicate dall’Osservatore romano nell’edizione del 14 gennaio.
La posizione del vescovo Mario Grech non stupisce chi ha seguito i lavori del doppio sinodo, basti ricordare un suo intervento presso il seminario di Malta nel novembre 2015, cioè il mese dopo l’assemblea ordinaria dei vescovi. Tra le altre cose, monsignor Grech diceva che vi è la necessità di una “nuova riflessione sui sacramenti”, e della “necessità di un cambiamento in teologia morale”. Secondo mons. Grech “la chiesa ha a disposizione gli strumenti necessari per affrontare tutti i casi, ma sceglie di non usarli per favorire alcune risposte bianco-o-nero sui problemi morali.” Per questo richiede“il cambiamento da una morale di norme ad una delle virtù che comporta discernimento, pazienza, accompagnamento e il principio della gradualità.”
Eppure sappiamo che nell’orbe cattolico non tutte le diocesi hanno dato questa interpretazione, ve ne sono di quelle per cui la condizione (e non un mero consiglio o ideale) di vivere come fratello e sorella (Cf. Familiaris consortio n°84 e Sacramentum caritatis n°29) è ancora vincolante per l’accesso all’eucaristia in questi casi.
Questo è il passaggio delle linee guida maltesi che mostra l’interpretazione del caso controverso:
«Nel processo di discernimento, esaminiamo anche la possibilità della continenza coniugale. Nonostante che sia un ideale non facile, ci possono essere coppie che con l’aiuto della grazia pratichino questa virtù senza mettere a rischio altri aspetti della loro vita insieme. D’altronde, ci sono delle situazioni complesse quando la scelta di vivere «come fratello e sorella» risulta umanamente impossibile o reca maggior danno (cfr. Amoris laetitia, nota 329).
Qualora come esito del processo di discernimento, compiuto con “umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa” (Amoris laetitia, 300), una persona separata o divorziata che vive una nuova unione arriva — con una coscienza formata e illuminata — a riconoscere e credere di essere in pace con Dio, non le potrà essere impedito di accostarsi ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia (cfr. Amoris laetitia, nota 336 e 351)».
L’ennesimo caso di interpretazione del capitolo VIII di Amoris laetitia mostra come i “dubia” presentati dai quattro cardinali abbiano una loro validità quando dicono di voler chiarire una certa divergenza applicativa che si sta realizzando nei fatti. A meno che queste diverse modalità di interpretazione non siano state volute espressamente, lasciando nel testo aperture per una lettura come quella offerta dai vescovi maltesi. Lo spazio per questa interpretazione si trova in tre note a piè di pagina di AL, mentre nel testo le parole chiave sono discernimento, accompagnamento, accoglienza, etc., e non si parla mai espressamente di accesso all’eucaristia. Rimane da chiedersi se una interpretazione diversa nelle varie diocesi possa davvero essere un esercizio di sinodalità, oppure una confusione che finisce per toccare nel profondo almeno tre sacramenti (matrimonio, riconciliazione, eucaristia), e quindi il concetto di coscienza in rapporto alla legge divina.