«L’esistenza di Dio, infatti, è la prima e la più eterna di tutte le verità che possono essere e la sola da cui procedano tutte le altre». E’ una frase contenuta nelle lettere inedite da poco pubblicate del fondatore della matematica, René Descartes (ovvero Cartesio).
Formatosi dai gesuiti del collegio francese di La Flèche, ha dato contributi decisivi nel campo filosofico e matematico, divenendo noto per il cosiddetto “dubbio metodologico”. Qualche tempo fa segnalavamo la strumentalizzazione da parte del positivismo del filosofo britannico Ludwig Wittgenstein, anche con Cartesio è avvenuto qualcosa di simile.
Descartes viene citato per avvalorare l’effimera positività del dubitare ed invece il suo approccio differisce completamente dal dubbio degli scettici, di chi dubita per dubitare. Come ha ben spiegato il teologo e storico francese Jean-Robert Armogathe, specialista di Cartesio e direttore di ricerche all’Ecole pratique des hautes études di Parigi, «il dubbio radicale di Cartesio si distingue chiaramente dalla tradizione scettica. Almeno in due modi. Innanzitutto, è un dubbio metodologico, necessario per compiere un percorso. Cartesio non dubita per dubitare, ma per ricercare la verità. È un dubbio provvisorio. In secondo luogo, è molto più radicale del dubbio degli scettici. Solo il pensiero, trovandosi al di là del dubbio, può in tal modo fondare l’esistenza permettendo di uscire dallo stesso dubbio».
L’elogio del dubbio in quanto tale e lo scetticismo razionalista sono dunque esattamente l’opposto del pensiero cartesiano: «quando si qualifica Cartesio come padre della razionalità moderna», ha spiegato ancora Armogathe, «non bisogna pensare al razionalismo, come fanno molti, ma alla ragione come insieme complesso dove convergono nella ricerca della verità pure le passioni dell’anima, le circostanze e l’insieme della personalità umana». La realtà ha un senso e Cartesio indica la possibilità di un percorso in cui il dubbio è parte importante, ma sarà la verità a scaturire da esso, non viceversa. Il dubitare diventa così la condizione favorevole alla possibilità di dedurre la verità.
La lettera citata inizialmente, inviata al teologo e matematico Marin Mersenne il 6 maggio 1630, esprime proprio la certezza dell’esistenza di Dio di un cattolico osservante, come lo era Cartesio. Egli avanza ben tre dimostrazioni dell’esistenza del Creatore, due a posteriori e una a priori. Il sociologo americano Rodney Stark ha ben mostrato come la scienza nasce schiava della teologia durante il luminoso Medioevo, ma il processo prosegue anche nel XVI secolo quando Cartesio, per l’appunto, «giustificò la sua ricerca delle “leggi” naturali sul fatto che tali leggi dovessero esistere perché Dio era perfetto e agiva “nel modo più costante e immutabile possibile”, tranne che nelle rare eccezioni dei miracoli» (R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, p.40).
Il dubbio fine a se stesso atrofizza l’uomo, l’elogio del dubitare è l’antitesi del pensiero razionale. L’atto del coltivare dubbio non ha alcun valore in sé, diventa valore solo se produce ricerca e chiunque cerchi seriamente qualcosa è perché ammette la possibilità del trovare, riconosce quindi l’esistenza di una risposta alla domanda. «Che le cose che concepiamo molto chiaramente e distintamente sono tutte vere», ha scritto Cartesio, «non è cosa certa se non perché Dio è o esiste, perché è un essere perfetto e perché da Lui riceviamo tutto quello che è in noi» (R. Descartes, Discorso sul metodo, Laterza 2004).