Ci sono vicende di cui è difficile parlare, a volte è persino difficile capire da dove cominciare. Riavvolgere il nastro della cronaca nera è sempre utile, spesso una tragedia nasce da una cosa piccola, minuscola piccolissima, innocente. Nel caso di Daniele probabilmente è nato tutto da una foto su Instagram e da un messaggino. Ci pare di vederlo, questo ragazzo di Forlì, nel vigore dei suoi 23 anni spento dai lunghi mesi del lockdown, coprifuoco, distanze, limitazioni e quella fragilità così diffusa che può portare, per noia o curiosità a coltivare più le relazioni virtuali che quelle reali. E’ l’autunno del 2020 quando Daniele conosce virtualmente “Irene Martini”, quella che pensa essere una bellissima modella romana e con la quale inizia una vera e propria relazione a distanza.
Un rapporto fatto solo di messaggi digitati su uno schermo, nessun vocale, nessuna telefonata, nessun incontro dal vivo, ma con un coinvolgimento viscerale. «Ti amo», «Voglio vivere ogni secondo con te», si scrivevano Daniele e “Irene”, ma quelle parole non erano scritte da Irene, non erano scritte da una modella, non erano scritte da una ragazza bensì da un uomo di 64 anni, Roberto Zaccaria, di Forlimpopoli, a pochi chilometri da casa. La scoperta per il ragazzo è una pugnalata al cuore, l’incredulità, la delusione, lo sgomento, quel senso di vertigine di chi viene preso in giro e si sente tradito. Non sappiamo se c’era dell’altro nel profondo della sua anima, il cuore umano nasconde anfratti insondabili, sappiamo che Daniele il 21 settembre del 2021 si toglie la vita lasciando un messaggio al fratello minore: «Ti vedrò crescere giorno per giorno. Sii felice, non fare come me che non ho mai avuto amici e ragazze…».
Quale strazio nel cuore dei genitori, chi non avrebbe almeno cercato giustizia nei loro panni? Per questo si rivolgono a due avvocati e denunciano ai carabinieri l’uomo che si è finto la fidanzata del figlio, viene aperta un’inchiesta, archiviata per mancanza del nesso causale tra la condotta dell’uomo e la morte di Daniele. Il senso di frustrazione è grande, ed è qui che intervengono le Iene. Il resto è cronaca, Matteo Viviani raccoglie la denuncia dei genitori, e parte a caccia del 64enne.
Lo stile è quello di sempre, un “agguato giornalistico”, un blitz nella vita quotidiana di un uomo di mezza età che si porta dentro colpe e ferite mentre che spinge la mamma novantenne in carrozzina. La telecamera puntata, le accuse come pietre scagliate in mezzo alla strada: «Si rende conto che c’è un ragazzo di 24 anni che si è tolto la vita? Se ne rende conto o no? Perché dopo la morte di Daniele ha continuato usando lo stesso giochino con altri ragazzi fingendosi Irene? Quale era il suo scopo?», è un crescendo.
Lo spettatore è condotto per mano e in fondo si sente dalla parte del giustiziere microfonato. Preso in castagna l’uomo si agita, nega, fugge, soprattutto sembra non mostrare segni di pentimento «Se aveva dei problemi di testa non è colpa mia!», urla. Forlimpopoli ha tredicimila abitanti, la voce si sparge in men che non si dica e quando il servizio va in onda l’uomo, riconoscibile pur se il viso è parzialmente camuffato, è sulla bocca di tutti. La gogna è prima locale, poi televisiva, poi mediatica, non c’è scampo. I commenti violentissimi, una sete legittima di giustizia che si tramuta in invocazione di vendetta. Qualche giorno dopo Roberto Zaccaria si toglie la vita. Anche lui come la sua vittima.
Non c’è mai una sola ragione per un gesto così tragico. Il senso di colpa logora chi deve rispondere di accuse così pesanti. Il male è un abisso. Non di rado si tolgono la vita uomini accusati di abusi e violenze sessuali, incapaci di portare una colpa pesante come un macigno. Ma in questo caso non possono non aver giocato un ruolo la vergogna, la gogna mediatica, gli insulti – reali e virtuali. La madre anziana trova quel figlio che si occupava di lei a sua volta morto suicida. Non si era costruito una vita, forse anche lui imprigionato in una serie di relazioni virtuali che lo illudevano di vivere. Probabilmente anche lui senza amici. Chi lo sa. La sua vita è spezzata. Eppure nemmeno qui si spezza la catena di male.
Se prima l’oggetto degli insulti era l’orco, reo di aver causato la morte del 24enne, ora nel mirino ci sono le Iene, ieri osannati come giustizieri, oggi accusati di essere orchi, a loro volta, di aver ucciso con microfono e telecamera, a loro volta oggetto di insulto libero. C’è sempre qualcuno che cerca un colpevole e speso lo trova, perché spesso le colpe sono innegabili. Per spezzare la catena di male bisogna però disinnescarlo, andando oltre la colpa e oltre il male, che è fin troppo banale (Fonte foto: screenshot Facebook)
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