In politica e nel giornalismo, spesso per necessità di semplificare, si fa un gran uso della distinzione tra conservatori e progressisti, come portatori di due opposte visioni. Eppure, a ben vedere, il buonsenso e la storia dell’umanità (inscindibile dal disegno escatologico) suggeriscono che l’optimum, senza cadere nel trasformismo, comprende sia il progredire verso il bene che ancora manca in una data società sia il conservare e trasmettere ciò che è già buono («la tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri», per dirla con la celebre massima di Gustav Mahler). Soffermandoci sul progressismo, secondo il senso che va oggi per la maggiore, si può dire che esso ha subito la sorte degenerativa di tutti gli «-ismi» poiché i suoi maggiori esponenti, anziché cercare di progredire verso il bene che manca, sono impegnati a distruggere il bene (si pensi al matrimonio, alla famiglia, alla protezione della vita umana innocente dal concepimento alla morte naturale) che già era tesoro comune.
Così, il 17 gennaio, il cardinale Timothy Dolan – cinque giorni prima che lo Stato di New York, a guida democratica, approvasse la tremenda legge che consente praticamente di abortire fino alla nascita, spazzando via l’ultima protezione rimasta per i nascituri – ha pubblicato un intervento sul Catholic New York per dire che cosa dovrebbe significare il vero progresso. «Noi newyorchesi ci inorgogliamo dell’essere “progressisti”», ha esordito Dolan sintetizzando poi la visione politica di due precedenti governatori come Theodore e Franklin Roosevelt. Anche l’attuale governatore dello Stato americano, Andrew Cuomo, «ha caratterizzato la sua amministrazione come “progressista”». Eppure, continua l’arcivescovo di New York, «uno degli attributi essenziali di un’agenda “progressista” è che si prende cura dei diritti di coloro che sono oppressi. A seconda delle epoche, questo potrebbe essere il contadino, le donne e i bambini che lavorano per lunghe ore in una fabbrica che li sfrutta, l’immigrato, le minoranze razziali, l’operaio, i disoccupati o quelli con salari miseri».
Dolan ha richiamato quindi le parole di un altro storico governatore di New York, il democratico e cattolico Al Smith, che «enfatizzava questa caratteristica dell’agenda progressista, la protezione del “piccolo”, delle persone dimenticate» e diceva di «dare sempre voce a quelli che non ce l’hanno». Da qui la domanda del cardinale: «Non è forse vero che oggi quello più senza voce, quello nascosto e invisibile, in fondo, dimenticato e ignorato… è il bambino nel grembo? Non è legittimo chiedersi perché la protezione dei diritti civili del nascituro non faccia parte dell’agenda progressista dominante?». Dolan ha ricordato che alla Marcia per la Vita di Washington ha spesso visto un cartellone, «Ama la mamma, e ama il suo bambino», che ben esprime l’autentico sentimento pro life, così disprezzato dalla cultura egemone. «Sembrerebbe logico per un progressista sostenere una mamma in una gravidanza difficile con tutte le cure – emotivamente e fisicamente – di cui ha bisogno, così come il fragile, vulnerabile, piccolo bambino nel suo grembo». Invece il progressismo contemporaneo fa l’opposto, avallando l’uccisione del vulnerabile e destabilizzando colei che era chiamata a dare la vita.
L’arcivescovo di New York ha messo poi in luce l’incoerenza di coloro che esaltano papa Francesco come “progressista”, magari applaudendo come ha fatto Cuomo al suo cambiamento sulla pena di morte, ma dimenticano che lo stesso Pontefice argentino ha espresso più volte concetti come questo: «Come può un atto che sopprime una vita innocente e indifesa, mentre sboccia nell’utero, essere terapeutico, civile o semplicemente umano?» (cfr. catechesi del 10 ottobre 2018 sul Quinto Comandamento). Da qui la conclusione di Dolan: «Per un progressista genuino, tutta la vita umana merita dignità, rispetto, cura e protezione, a prescindere dallo stadio, dall’utero alla tomba. Nessuna eccezione!».
Principi simili sono stati espressi in una dichiarazione pubblicata sempre il 17 gennaio dai vescovi dello Stato di New York (con primo firmatario lo stesso Dolan), che dopo aver rinnovato la disponibilità della Chiesa a mettere a disposizione delle donne con gravidanze difficili le proprie strutture e servizi caritativi ricordano che il cosiddetto Reproductive Health Act (RHA), divenuto appunto legge cinque giorni dopo, «non è progresso». Il vescovo di Albany, Edward Scharfenberger, uno di quelli che ha firmato la suddetta dichiarazione, ha scritto poi una lettera aperta a Cuomo, che si definisce cattolico, per ammonirlo che la legge abortista da lui promossa «è completamente contraria agli insegnamenti del nostro papa e della nostra Chiesa» e «minaccia di rompere la comunione tra la fede cattolica e coloro che sostengono l’RHA». Da un ammonimento così, se non accolto, un tempo si arrivava alla scomunica, la misura estrema per richiamare l’anima alla necessità di convertirsi. Per carità, a proposito di bene da (ri)trasmettere, sarebbe il caso di ripristinarne l’uso.
AGGIORNAMENTO (h 16):
Mentre in Italia era il tardo pomeriggio di ieri, un tweet di Daniel Burke della Cnn ha riportato una dichiarazione del portavoce di Dolan (finora non presente sul sito dell’arcidiocesi di New York, ma nemmeno smentita), nella quale si dice tra l’altro che la scomunica “non è una risposta appropriata a un politico che supporta o vota una legislazione che promuove l’aborto” e che “non dovrebbe essere usata come un’arma” per “rabbia o frustrazione”.
Come accennato alla fine dell’articolo, l’uso proprio della scomunica non è quello riferito dal portavoce: è invece, propriamente, un’opera di misericordia spirituale (ammonire i peccatori) volta a richiamare l’anima – evidentemente a rischio per i suoi atti pubblici e che non ha mostrato segni di pentimento – alla conversione, possibile finché è in terra. Allo stesso tempo è un’opera di misericordia verso tutto il gregge in cui si è diffuso lo scandalo, che viene confermato nella fede e messo in guardia su ciò che è un peccato gravissimo, come in questo caso il via libera alla soppressione della vita innocente.
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