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3.12.2024

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Fa discutere un documento vaticano sulle vergini consacrate
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17 Luglio 2018

Fa discutere un documento vaticano sulle vergini consacrate

Sta facendo discutere l’Istruzione Ecclesiae Sponsae Imago, presentata alcuni giorni fa dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica dopo aver ricevuto l’approvazione del Santo Padre durante l’udienza dell’8 giugno 2018: alcuni sostengono infatti che essa contenga affermazioni «sconcertanti».

Analizziamo i fatti nel dettaglio. Nel 2020 ricorreranno i cinquant’anni dal ripristino – per volontà del beato Paolo VI – dell’antico Ordo virginum: «come accadeva – ha affermato il Cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, nel discorso di presentazione dell’Istruzione – nelle comunità apostoliche e in epoca patristica, dopo secoli era concessa la possibilità di ricevere questa consacrazione anche alle donne che restano nel proprio ordinario contesto di vita, e non più riservata alle monache». Nel corso degli anni a seguire, tuttavia, la Sede Apostolica non aveva mai definito in maniera puntuale «la fisionomia e la disciplina di questa forma di vita», limitandosi appunto a promuove il Rito liturgico e le norme in esso contenute.

Per colmare questa lacuna, fattasi sempre più urgente in relazione al costante aumento delle vergini consacrate (nel 2016, Anno della vita consacrata, si stimava che fossero circa cinquemila nel mondo), dopo una lunga consultazione si è quindi giunti a elaborare l’Istruzione Ecclesiae Sponsae Imago che, in 39 dense pagine, si pone quali fini principali quelli di rispondere a interrogativi circa «la vocazione e la testimonianza dell’Ordo virginum, la sua presenza nella Chiesa e universale, e – in particolare – la formazione e il discernimento vocazionale».

Tutto bene, dunque? A quanto pare non è così, dal momento che un passaggio del testo ha sollevato diverse perplessità. Al numero 88 dell’Istruzione, inerente l’orientamento vocazionale e i requisiti di ammissione alla consacrazione, si legge infatti che «la chiamata a rendere testimonianza all’amore verginale, sponsale e fecondo della Chiesa verso Cristo non è riducibile al segno della integrità fisica, e che l’aver custodito il proprio corpo nella perfetta continenza o l’aver vissuto in modo esemplare la virtù della castità, pur rivestendo grande importanza in ordine al discernimento, non costituiscono requisiti determinanti in assenza dei quali non sia possibile ammettere alla consacrazione».

Di fronte a questa affermazione l’Associazione degli Stati Uniti delle vergini consacrate (Usacv), riporta il Catholic Herald, si è detta «profondamente delusa» e si è espressa con parole molto ferme: «È sconvolgente sentire da Madre Chiesa che la verginità fisica non può più essere considerata un prerequisito essenziale per la consacrazione a una vita di verginità», alla luce del fatto che «l’intera tradizione della Chiesa ha fermamente sostenuto che una donna deve aver ricevuto il dono della verginità – cioè materiale e formale (fisico e spirituale) – per ricevere la consacrazione delle vergini».

Non solo, prosegue l’Usacv, la verginità è dunque da considerarsi un requisito minimo per accedere alla consacrazione, ma anzi vi sono altresì «“alcune gravi violazioni della castità” che, sebbene non violino la verginità, squalificano le donne dal ricevere la consacrazione».

D’altronde, come si legge al n. 18 della stessa Ecclesiae Sposae Immago, quelle donne in cui lo Spirito Santo suscita il carisma della verginità e che vengono guidate alla realizzazione della specifica vocazione della consacrazione verginale «rinunciano all’esperienza del matrimonio umano per essere a Lui congiunte con un legame sponsale, sperimentare e testimoniare nella condizione verginale (1 Cor 7, 34) la fecondità di tale unione, anticipare la realtà della comunione definitiva con Dio cui tutta l’umanità è chiamata (Lc 20, 34-36)».

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