«Non credo proprio che Dio odi i gay. Penso invece che ami le persone che vengono coinvolte in questo peccato, perché sa di avere qualcosa di molto meglio per loro». Queste le parole che abbiamo scelto per iniziare a parlare di Robin Teresa Beck, 59 anni di cui 35 trascorsi come omosessuale e con 12 relazioni alle spalle.
La donna ha raccontato la sua drammatica storia nel libro I just came for Ashes (Dunphy Press 2012): nata da genitori alcolizzati, suo padre abusava di sua madre e lei ha vissuto l’infanzia nel terrore di subire le stesse cose. L’unico ricordo positivo che ha di sua madre è quando un giorno, improvvisamente, la coccolò tra le braccia: fu l’unica volta in cui si sentì «sicura e felice».
La religione divenne una via di fuga, cominciò a frequentare la Chiesa protestante assieme alla sorella desiderando che Dio la salvasse dalla quotidiana violenza verbale, emotiva e fisica vissuta a casa. Il padre se ne andò di casa, la madre si ammalò di una malattia debilitante: guardando indietro, oggi si rende conto di quanto aveva un disperato bisogno qualcuno – chiunque – disposto ad amarla. Cominciò a frequentare il suo insegnante di musica, trascorrendo finalmente un periodo di felicità e di amore. Ma, dopo il diploma, il rapporto sbiadì e Robin si sentì tradita da lui, promettendosi di non dare più fiducia ad un altro uomo.
Durante gli anni del college un’amicizia intima con una donna si trasformò in una relazione sessuale, durò sette mesi. Lo stesso accadde con un’insegnante di religione (di sesso femminile), vissero assieme per alcuni anni ed entrarono in una associazione di cristiani gay. Trovò diverse partner all’interno di questo club, «quando iniziava una storia ero sempre sicura che finalmente avevo trovato la donna giusta. Ma in meno di un anno mi ritrovavo nuovamente infelice», racconta. Rimbalzando da una all’altra «speravo di trovare una donna stabile, amorevole, in altre parole, stavo cercando la mamma che non ho mai avuto». Continuò così per anni.
In un’intervista recente ha spiegato: «La maggior parte delle donne lesbiche hanno un deficit nel loro rapporto con la madre. So che è vero per me. Non ho avuto il nutrimento di cui avevo bisogno da mia mamma, questo mi ha procurato delle ferite che ho cercato di guarire chiedendo ad altre donne di darmi quello che mia madre non è stata in grado darmi». All’età di 46 anni, disperata per l’ennesima relazione terminata come un fuoco di paglia, «mi sono buttata sul pavimento urlando: “Oh, Dio, ti prego, dimmi che non è la mia vita!”». Guardando a quel periodo, oggi racconta: «penso che la maggior parte delle persone che vivono uno stile di vita gay sono persone ferite. Molte persone, tra cui buoni cristiani, contestano questa mia posizione. Ma io devo ancora incontrare una persona attiva in questo stile di vita che non covi qualche dolore, qualche rifiuto, qualche mancanza, in genere fin dall’infanzia. Dalla mia esperienza, è impossibile avere una relazione gay sana perché va contro il modo in cui Dio ci ha fatto».
Fu poco prima dei cinquant’anni che entrò in una Chiesa cattolica il mercoledì delle Ceneri e si recò all’altare per ricevere le ceneri benedette: «Convertitevi e credete nel Vangelo», disse il sacerdote tracciandole la croce sulla fronte. Accadde inspiegabilmente qualcosa tanto che continuò a frequentare la messa domenicale. Si convinse che il problema era che semplicemente non riusciva a creare una «sana relazione gay», l’ennesima storia con una donna «finì in rovina quando iniziammo ad attraversare la linea e andare dove invece Dio aveva detto: “Non sconfinare!”». Quella fu l’ultima sua relazione omosessuale e continuando a frequentare i sacramenti cattolici ha trovato la forza di rinunciare alla sessualità, promettendo a Dio una fiducia totale in Lui. Questo accadde sei anni fa.
Da allora «ho camminato lontano dalla vita gay e nemmeno per un attimo ho pensato di tornare indietro», ha scritto nel suo libro. Robin ha chiesto di entrare nella Chiesa, ha seguito il percorso di catechesi ed è stata accolta ufficialmente durante la Pasqua del 2010. Oggi vive un’esistenza finalmente felice. «Alcune persone», ha spiegato, «riescono a far funzionare un rapporto omosessuale, c’è chi effettivamente resta assieme ad un altro anche per 40 anni e possono anche sentirsi felici, magari. Ma credo comunque che finiscono sempre per deviare dal progetto creato per loro da Dio per essere felici. Alla fine, prima o poi, la realtà si impone sempre».
Colpisce molto quando Robin racconta i suoi tentativi di piegare il cristianesimo per giustificare i suoi comportamenti omosessuali: «ho sempre avuto una forte coscienza di Dio, ma sapevo anche di aver bisogno dell’amore, e la mia unica opzione allora era l’amore di un’altra donna. Ho quindi dovuto torcere le Scritture. Mi dicevo: “Certamente Dio è d’accordo con le mie scelte, l’importante è l’amore“. In realtà volevo solamente che Dio guardasse favorevolmente sulla mia vita immorale. Quello era il mio modo di pensare perché ero così disperatamente in ricerca di amore, tanta paura di essere sola».
Parlando del Sinodo sulla Famiglia e rivolgendosi a quei pastori ormai piegati alla morale del mondo, la donna ha ricordato loro: «Io credo che ciò che la Chiesa ha bisogno di fare è di essere amorevole e sincera. Se ci limitiamo a dare la verità senza amore è come un intervento chirurgico senza anestesia. C’è bisogno di compassione. La Chiesa ha bisogno di essere un ospedale da campo. Ma la gente non può iniziare a ricevere il bene fino a quando non c’è pentimento. E nessuno si pentirà a meno che non sentirà la verità. La verità è che Dio ci ha creati maschi e femmine, l’uno il compagno dell’altra. Andare contro questo progetto distrugge l’anima. Non ci sono compromessi su questa verità. Mi fa molta paura che i miei amici omosessuali possano sentirsi dire da un pastore cattolico: “Ok, va bene così!”».
«La Chiesa ha bisogno di dire questo con amore alle persone omosessuali: “Non è quello che sei, sei su un percorso distruttivo per te. La buona notizia è che siamo con te, anche se cadrai mille volte noi ci saremo ancora. I sacerdoti devono dire la verità con amore. Se la gente si arrabbia e se ne va, bene, così sia. Quando le loro vite si romperanno allora torneranno. E torneranno in un posto che è veramente un ospedale da campo, dove le persone possono trovare il vero conforto e la liberazione».