Si scrive «coming out», si legge «pecunia non olet». La vicenda degli oltre 120 – 125, per l’esattezza – sacerdoti e impiegati della chiesa cattolica che, in Germania, nelle scorse ore hanno rivelato pubblicamente la loro identità Lgbt, andrebbe inquadrata diversamente, rispetto a com’è stata presentata finora dai grandi media, ai quali non è parso vero di poterla raccontare.
Infatti «#OutInChurch Für eine Kirche ohne Angst» – «OutIn/nella Chiesa, per una Chiesa senza paura» – è stata immediatamente presentata come un’impresa intrisa di coraggio, di sfida contro le istituzioni. Un’enfasi che però non può cancellare come, di fatto, la realtà della questione sia ben diversa. Infatti, anche sorvolando tra la sbalorditiva prossimità temporale tra tale evento e le recenti accuse ai danni del papa emerito, Benedetto XVI, qui ci son vari elementi che fanno pensare.
Anzitutto, la modalità di questo «coming out». Secondo Bernd Moenkebuescher, un pastore della Germania occidentale che l’anno scorso ha contribuito ad avviare benedizioni per le coppie dello stesso sesso, questo annuncio – fatto sotto forma di documentario sulla tv tedesca pubblica Ard – gli autori dell’iniziativa sono stati ispirati da un «coming out» di 185 attori in Germania lo scorso anno. Dunque c’è stato un palese intento non di affrontare un problema, bensì di spettacolarizzarlo; il che fa già riflettere.
Ma il vero aspetto rilevante di questo appello, che ha incassato l’appoggio di un vescovo, quello di Aquisgrana, Helmut Dieser – sempre a proposito della presunta «sfida alle istituzioni»…-, è un altro e cioè il suo vero oggetto: la richiesta di cambiare il diritto canonico così da consentire a gay, lesbiche, bisessuali e transgender di lavorare per la Chiesa. Tutto chiaro? I 125 «coraggiosi» non sono semplici fedeli: sono dipendenti della chiesa tedesca, notoriamente prospera.
Va a questo proposito ricordato che in Germania la Kirchensteuer – così si chiama l’imposta ecclesiastica – è obbligatoria per legge per tutti coloro che sono registrati come appartenenti alla Chiesa cattolica (o alle chiese protestanti) e frutta alla chiesa tedesca oltre 5 miliardi di euro all’anno. Una somma imponente, più di cinque volte, ad esempio, il gettito raccolto dalla Chiesa italiana attraverso il vituperato 8×1000. Ne consegue come davvero la vicenda dei 125 vada inquadrata diversamente.
Come? Come la storia di figure che, con vari incarichi – non si tratta affatto solo di religiosi -, già prestano servizio, stipendiati, presso chiesa tedesca e, semplicemente, vogliono continuare a farlo pur trasgredendone in modo plateale le regole morali di fondo. Per quanto appaia duro l’accostamento, è un po’ come se Tizio, dipendente dell’azienda di Caio, stabilisse ad un certo punto che le regole con cui è stato assunto non gli andassero più bene; solo che in questo caso Tizio non ne trae le inevitabili conseguenze -dimettendosi -, ma pretende che sia Caio venire incontro alle sue istanze.
E questo, scusate, sarebbe essere «coraggiosi» o, addirittura – com’è stato detto -, «senza paura»? Macché: questo, dispiace doverlo dire in termini molto espliciti, è esser senza pudore, e cioè tutta un’altra storia. Nessuno, infatti, impedisce ai 125 di lasciarsi l’esperienza religiosa alle spalle, rifacendosi una nuova vita, cercandosi un impiego, eccetera. Ma il fatto che costoro aspirino nei fatti a restare dove sono, al calduccio sotto il manto della Chiesa, pur calpestandone in modo plateale le indicazioni dottrinali, ecco, lascia francamente basiti.
L’auspicio è dunque che i pastori e i fedeli cattolici tedeschi, che si stanno già riducendo molto di numero, resistano senza esitazione a questi appelli, sia perché sono – per le ragioni appena esposte – indegni, sia perché non la teologia, ma l’esperienza, soprattutto luterana e protestante, insegna che una Chiesa che si adegua al mondo non ottiene conversioni ma complimenti, avviandosi verso l’estinzione. Si vuole forse proseguire su questa strada? Per il bene della Germania, e non solo, c’è da augurarsi di no.
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