«Il dialogo sarà sempre necessario per capire la situazione in cui è l’altro e siamo noi». Ma «non può essere esercizio di conversazione da salotto che si conclude con una bicchierata o con una pacca sulle spalle». «Il dialogo di Cristo è finito sulla Croce. E se c’era un dialogante era Lui». Lo disse il vescovo di Como, monsignor Alessandro Maggiolini (1931-2008), in occasione della solennità dell’Epifania del 2005, parlando della chiamata di ogni cristiano ad essere missionario, a rendere cioè “esplicita” la fede.
«Oggi», disse Maggiolini, «è frequente un blocco della missione dovuto alla paura di offrire un cristianesimo fondamentalista. Non si può dimenticare, tuttavia, che dall’altro lato deve premere anche la paura di non comunicare più nulla. E il motivo è che si è rinnegata la propria vita cristiana».
È «saggio identificare ciò che unisce noi credenti e gli altri», continuava il vescovo, ma così a lungo andare «la proposta della fede – la missione – si trasforma in mutismo vergognoso e titubante. Si tratta di recuperare una identità cristiana dolce e solida, che si renda capace di accogliere il positivo che c’è in ogni cultura, ma non si lascia fagocitare da ciò che non è riconducibile a Cristo.
«Il mondo è intriso anche di errore e di male a cui il cristianesimo non può adattarsi», concludeva monsignor Maggiolini. «Il volere il bene dell’altro non significa dargli ragione quando il suo pensiero e la sua vita non corrispondono al Vangelo. Così come noi stessi siamo sottoposti ad un duro lavoro di cambiamento, quando ci impegniamo nel dialogo e nella missione. La nostra conversione è al Signore Gesù, non al mondo. La nostra fedeltà è al Vangelo, non alle mode culturali del momento». (fonte: Sir)
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