In che modo si possono legare il tartaro nei denti, il lapislazzuli, l’arte della miniatura e il monachesimo medievale? A fare luce su questo legame è una ricerca multidisciplinare condotta da 11 studiosi, tra cui l’italiana Anita Radini, e pubblicata il 9 gennaio su Science Advances. Lo studio inizia con il ricordare che durante il Medioevo esistevano rotte commerciali tra l’Europa e l’Asia e uno dei beni che passava attraverso queste rotte era il blu oltremare, un pigmento piuttosto raro e ottenibile dal lapislazzuli, una pietra originaria dell’Afghanistan e particolarmente preziosa, tanto che «era riservata insieme all’oro e all’argento ai manoscritti più lussuosi». Visto il suo elevato costo, osservano ancora i ricercatori, «solo a scrivani e pittori di eccezionale abilità sarebbe stato affidato il suo uso».
Ebbene, questa squadra internazionale di studiosi ha scoperto tracce del pigmento blu nei denti di una donna medievale [vedi foto di C. Warinner (A), M. Tromp e A. Radini (B-I)], presumibilmente una monaca, vissuta per circa 45-60 anni e sepolta nel complesso monastico di Dalheim, in Germania, andato in rovina dopo un incendio nel XIV secolo e che era stato abitato da canonichesse che seguivano la regola di sant’Agostino. La tecnica del radiocarbonio ha consentito di indicare un intervallo approssimativo, con una probabilità del 95%, in cui si sarebbe svolta la vita terrena della donna: tra l’anno 997 e il 1162. I ricercatori rilevano che nel Medioevo era in generale raro che gli scrivani firmassero le copie da loro prodotte. Questa situazione, comune a monaci e monache, rende inevitabilmente difficile individuare l’identità dell’amanuense o del miniatore di un determinato manoscritto. In particolare, soffermandosi sul lavoro delle monache, lo studio nota che «anche tra i libri nelle biblioteche dei monasteri femminili, meno del 15% porta nomi o titoli femminili, e prima del XII secolo meno dell’1% dei libri può essere attribuito alle donne».
Ma al di là della “firma” sul lavoro da amanuense, in Austria e Germania ci sono attestazioni di monache addette alla copiatura e miniatura risalenti all’VIII secolo, come ricorda lo studio. Non sono ignote, aggiungiamo, notizie perfino più antiche su questo tipo di attività nei monasteri anche femminili, dal momento che a santa Brigida d’Irlanda (c. 451-523), compatrona ed evangelizzatrice dell’«Isola verde» poco dopo san Patrizio, è attribuita la decisione di costituire una scuola d’arte per la decorazione dei manoscritti, tant’è che lo scriptorium dell’Abbazia di Kildare, da lei fondata, custodiva un magnifico evangelario miniato che molti identificano con il Libro di Kells, oggi conservato al Trinity College di Dublino. Fatti come questo, che è solo uno tra molteplici esempi, smentiscono i tanti pregiudizi sul Medioevo diffusi nella nostra epoca e arbitrariamente propagati soprattutto dall’illuminismo in poi. E ricordano lo straordinario ruolo del monachesimo medievale nella trasmissione sia dei testi sacri sia dei classici, su cui si sofferma anche un’apposita voce del Dizionario elementare della civiltà cattolica.
Tornando alla ricerca, si è scoperto che i denti della probabile monaca – B78, il suo nome archeologico – contengono centinaia di particelle di lapislazzuli. Tra le quattro ipotesi (produzione di manoscritti di grande valore, preparazione del pigmento attraverso la macinazione della pietra e possibile conseguente aspirazione, uso della polvere di lazurite a fini medici, bacio devozionale alle pagine religiose) avanzate per spiegare questo fenomeno, dunque la colorazione blu del tartaro, i ricercatori ritengono che la più probabile in assoluto sia proprio la copiatura e miniatura di libri. Tra i manoscritti della Germania sopravvissuti fino a noi e noti per la presenza di lapislazzuli, il più antico a essere attribuito a una donna amanuense è una copia – risalente al 1200 circa – di Scivias, uno dei libri profetici di santa Ildegarda di Bingen (1098-1179). Al XII secolo risalgono inoltre un paio di lettere che testimoniano uno scambio epistolare tra un monastero maschile di Reinhardsbrunn e uno femminile di Lippoldsberg, da cui emerge che un armarius (un bibliotecario) di nome Sindold «commissiona la produzione “abile” di un lussuoso e miniato Mattutino (libro liturgico) alla sorella “N” usando pergamena, pelle, seta e pigmento che lui ha fornito a tale scopo».
Dopo aver fornito altri interessanti particolari storici, i ricercatori spiegano come le particelle di lapislazzuli possano essere finite nella cavità orale di B78: «Nell’aggiungere dettagli alle loro miniature, è plausibile ipotizzare che gli artisti leccassero ogni tanto i loro pennelli per fare un punto sottile, una pratica a cui i successivi manuali d’artista fanno esplicitamente riferimento». Anche attraverso questo lavoro certosino, per usare un termine anch’esso prodotto dell’epoca medievale, di monache e monaci è passata la cultura.
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