L’allarme sulla crisi della natalità la suona anche il Wall Street Journal, il maggior quotidiano al mondo di affari e finanza. L’economista Greg Ip, della Carleton University, ha pubblicato un articolo, contenuto nel dossier che il Wsj ha dedicato al “destino demografico” del mondo, nel quale analizza gli effetti globali del calo diffuso delle nascite.
Approfondendo le proiezioni elaborate dalle Nazioni Unite per il 2050, Ip ha così potuto archiviare una teoria diffusasi tra gli economisti, i demografi e i sociologi negli scorsi decenni. Scrive che “nel 1798 Thomas Malthus, un saggista britannico, sostenne che l’umanità si sarebbe riprodotta più rapidamente di quanto potesse aumentare la produzione alimentare, causando fame e povertà. Aveva torto”.
A tal proposito, Ip spiega che “nel corso dei secoli diciannovesimo e ventesimo, la popolazione del mondo occidentale è cresciuta rapidamente, con un crollo nel biennio 1918-19 a causa della prima guerra mondiale e della pandemia di influenza 'spagnola'. Ma l’aumento della produttività agricola si è dimostrato più che in grado di alimentare le bocche dei più”.
L’economista americano ricorda come questa diffusa paura della sovrappopolazione, malgrado questi dati, raccolse un certo credito nella seconda metà del Novecento, subito dopo il cosiddetto “baby boom”. Le teorie maltusiane vennero “compendiate da La bomba demografica che Paul Ehrlich scrisse nel 1968 e da I limiti dello sviluppo del Club di Roma nel 1972”. I due libri posero le basi della pianificazione familiare per il controllo della popolazione, che ancora oggi alcune organizzazioni portano avanti nei Paesi del Terzo mondo.
Ma le tesi contenute in questi volumi si sarebbero potute confutare già grazie agli elementi offerti da uno studio del 1930 di Alvin Hansen, economista della Havard University e discepolo di John Maynard Keynes. Egli sosteneva che una flessione demografica avrebbe impantanato l’economia statunitense in una “stagnazione secolare”.
Le sue previsioni sarebbero diventate realtà alla fine del secolo scorso, specie in un Paese come il Giappone. Nel 1996, la sua popolazione in età lavorativa ha iniziato a ridursi e, qualche anno fa, è avvenuto lo stesso per la sua popolazione totale. Ip rileva che “il Giappone è un caso estremo, ma il resto del mondo avanzato e molte economie emergenti stanno seguendo percorsi simili”.
Attraverso una serie di grafici interattivi su di un moderna piattaforma estetica, l’articolo del Wsj dimostra – come già annunciato dall’Onu – che l’anno prossimo, per la prima volta dal 1950, la popolazione in età lavorativa delle economie sviluppate registrerà un segno meno, e “entro il 2050 si ridurrà del 5 per cento”. La popolazione in età lavorativa diminuirà del 26% in Corea del Sud, del 28% in Giappone, del 23% in Italia e Germania. Il sole sembra sorgere allora a Sud del mondo: per i Paesi a reddito medio, infatti, la popolazione crescerà del 23%, guidata dall’India con il 33%. Ma il Brasile arriverà appena al 3 mentre Russia e Cina ne perderanno il 21%.
I Paesi la cui popolazione cresce, sono destinati a svilupparsi anche dal punto di vista economico. Pertanto Ip sottolinea che “le tendenze demografiche per i prossimi 35 anni sono impegnative, ma non sono scolpite nella pietra”. Ragion per cui “una modifica delle politiche dei Governi per cambiare gli atteggiamenti sociali possono aumentare la fertilità”. Un esempio in tal senso giunge dalla Cina, che ad ottobre “ha accantonato la sua politica del figlio unico”. O anche da Paesi come Singapore, Australia e la provincia canadese del Quebec, “che hanno offerto finanziamenti per incoraggiare le famiglie” a fare figli.
L’economista smentisce inoltre chi vede nell’immigrazione un rimedio alla crisi demografica. “I Paesi che forniscono più immigrati negli Stati Uniti, Messico e Cina, stanno a loro volta invecchiando, e la forbice di persone che cerca una vita migliore all’estero si sta restringendo”. Ecco perché c’è bisogno di volgere lo sguardo dentro i propri confini nazionali per metter fine all’inverno demografico. Del resto, se non si torna almeno alla soglia di 2,1 figli per donna, lo storia del popolo italiano rischia di "congelarsi" per sempre al freddo della rigida stagione demografica che sta attraversando.