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Democratici Usa a Google: «Si censurino i pro life»
NEWS 23 Giugno 2022    di Federica Di Vito

Democratici Usa a Google: «Si censurino i pro life»

I pro life nel mirino dei dem statunitensi. Un gruppo di senatori democratici degli Stati Uniti ha esortato il CEO di Google Sundar Pichai a prendere provvedimenti in seguito a un rapporto voluto da attivisti di sinistra che rivela per loro l’inverosimile. Ovvero che Google rimanderebbe a centri per gravidanza pro life nel momento in cui gli utenti digitano nella ricerca servizi per abortire. Come se la scelta dovesse essere scritta sin dall’inizio, anzi, come se dovessimo essere tutti privati della possibilità di scegliere. L’hanno chiamato “disturbing report”, ma nella fattispecie, chi disturberebbe?

«Quando le persone cercano informazioni o servizi relativi alla loro salute sessuale e riproduttiva, Google le invia a siti che gli utenti potrebbero aspettarsi contengano informazioni sanitarie solide, scientifiche e basate su evidenze, ma in realtà contengono opinioni di disinformazione guidate da ideologie», ha affermato il capo del CCDH Imran Ahmed nel rapporto.

La lettera firmata dal senatore statunitense Mark R. Warner, D-Va. e Rep. Elissa Slotkin, D-Mich. a Pichai, CEO di Alphabet Inc. e Google cita una ricerca del Center for Countering Digital Hate (CCDH), descritto come «un’organizzazione no profit con sede negli Stati Uniti che combatte l’odio online e la disinformazione». Lettera alla mano: il rapporto del CCDH ha rilevato che il 37% dei risultati di Google Maps e l’11% dei risultati di ricerca di Google per «clinica per l’aborto vicino a me» e «pillola per l’aborto» fossero localizzate negli stati in cui la legge vieterebbe di fatto l’aborto se la Roe v. Wade venisse ribaltata. Proprio per questo i firmatari si dichiarano “in special modo preoccupati”. Inoltre, il rapporto ha anche rilevato che circa il 28% degli annunci di Google visualizzati in cima ai risultati di ricerca erano riservati a cliniche pro vita, una percentuale da brividi, secondo loro.

“Fake clinics”, così vengono definite le cliniche pro vita, come se fossero uno scherzo, una presa in giro: «Dirigere le donne verso false cliniche che veicolano disinformazione e non forniscono servizi sanitari completi è pericoloso per la salute delle donne e mina l’integrità dei risultati di ricerca di Google», citando testualmente dalla lettera.

«Se Google deve continuare a mostrare questi risultati fuorvianti nei risultati di ricerca e in Google Maps, i risultati dovrebbero, per lo meno, essere adeguatamente etichettati», con un bel disclaimer per scrollarsi di dosso ogni responsabilità e legame tra Google e i centri pro vita. Dal canto loro, gli attivisti pro vita hanno respinto da tempo le affermazioni dei sostenitori dell’aborto secondo cui i centri per la gravidanza pro-vita sarebbero cliniche fuorvianti o “false”. «Per anni NARAL Pro-Choice America ha cercato di chiudere le alternative all’aborto etichettando le cliniche mediche per la gravidanza (certificate dallo stato) come ‘cliniche false’ e come ‘minaccia insidiosa alla libertà riproduttiva’», Ryan Bomberger, il fondatore del Radiance Foundation, ha scritto in un recente editoriale.

«Nel 2019, i centri di assistenza alla gravidanza e le cliniche mediche hanno distribuito 1,3 milioni di pannolini, 2 milioni di vestiti per bambini, 50.000 seggiolini per auto e passeggini e centinaia di migliaia di altri articoli. Hanno fornito lezioni per genitori a 291.000 clienti. Il tutto gratuitamente. Planned Parenthood ha riferito di aver fornito zero di questi articoli o servizi». La lettera dei senatori arriva in un momento in cui c’è stato un drastico aumento del vandalismo e degli attacchi, compresi i bombardamenti incendiari, contro i centri per la gravidanza pro vita in tutta la nazione. Gli attacchi fanno seguito al possibile ribaltamento della Roe v. Wade, ma non fanno così notizia.

E se è vero che i pro choice hanno tanto a cuore la possibilità di scegliere, nessuno sembra chiedersi come mai la scelta sembra unica e obbligata dal loro punto di vista. E poi, perché mai scegliere di non abortire dovrebbe non riguardare l’aborto?


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