Ponti crollati, treni fermi, autostrada chiusa, fiumi esondati, comuni alluvionati, migliaia di evacuati, 14 morti. E poi il concerto di Bruce Springsteen in un fangoso parco di Ferrara. Un pasticciaccio brutto per l’eroe della classe operaia, per il cantore di chi si spezza la schiena in fabbrica per inseguire il sogno americano. Aveva aperto le danze la giornalista Tiziana Ferrario, volto noto del Tg1: «Adoro Bruce Springsteen ma davanti ai morti e ai paesi sommersi nel fango il concerto di Ferrara stona. Una volta si andava a spalare e aiutare chi era sommerso nel fango non a cantare e ballare spensierati nella stessa zona». A farle eco sono molti fan del Boss presenti al concerto. «Anche io c’ero, a malincuore. Avevo sperato in un rinvio e sono andata con i sensi di colpa, con il telefono pronto a registrare il video del suo discorso ma non ne ha fatto nessuno. Atteso quel momento invano per 3 ore. Mito infranto. Spero in una sua donazione», così su Twitter l’utente @PhoebeCatBuffay.
SPRINGSTEEN E I FAN? «FREDDEZZA RECIPROCA»
Certo, ci sono state voci, anche autorevoli, tutt’altro che deluse. Per il ferrarese Sgarbi, ad esempio, «i morti si onorano anche così. Springsteen è come Beethoven, il lutto si può osservare anche sentendo la musica». Anche il giornalista Fabio Dragoni, che pure al concerto non ci sarebbe andato «nemmeno gratis e col beltempo», arriva alla stessa conclusione: «The show must go on. E chi può fare la vita di sempre deve farla. Si riparte anche così». Ma c’è un punto che scotta davvero, il totale silenzio di Springsteen sulla tragedia in corso, un silenzio che ha fatto molto rumore e che si avvia ad avere ripercussioni significative sul cinquantennale (e totalizzante) rapporto tra Bruce e i suoi fan. Coglie il punto Leila (@lifehaarry), altra persona presente al concerto, che arriva a parlare di “freddezza”, termine assolutamente straniante, lontano anni luce dal calore sprigionato dall’“universo Springsteen”: «Da presente al concerto confermo. Nemmeno una parola. Con stasera è la sesta volta che lo vedo, la mancanza di empatia si sentiva. Ammetto però che c’era una freddezza generale anche tra il pubblico, sia noi che lui ci siamo scaldati solo alle ultime canzoni».
CHIUDE LA STORICA FANZINE: «ABBATTUTI E DISILLUSI»
Che i fatti di Ferrara abbiano chiuso un’era? Il rapporto coi fan, in realtà, aveva iniziato a incrinarsi già mesi fa, per via dei chiacchieratissimi rincari dei biglietti dei suoi concerti. Motivo per cui Backstreets, la principale fanzine di Springsteen, punto di riferimento per milioni di fan, aveva annunciato la chiusura dopo 43 anni di attività. Nell’editoriale di addio il direttore Christopher Phillips aveva puntato il dito contro la politica dei cosiddetti “prezzi dinamici”, peraltro difesa in modo alquanto sprezzante dal rocker del New Jersey: «Faccio quello che fanno i miei colleghi». «4mila dollari per vederlo», ha spiegato Phillips, «sono troppo per tanti suoi fan, e la colpa è del meccanismo del dynamic pricing, che consente ai prezzi di cambiare in risposta alla domanda. Siamo scoraggiati, abbattuti, sì, disillusi». Sulla vicenda, che suonava come un doloroso cambio pagina per chi ha cantato povertà e american dream, il Corriere della Sera titolava così: «E ora i fan “lasciano” Springsteen. “Ci ha dato in pasto ai lupi”».
L’ALBUM PER L’11 SETTEMBRE
Di fronte ai lutti e a quell’acqua distruttrice, molti si sarebbero aspettati parole di fraternità, di umanità, specie da chi vanta origini italiane. Parole, tra l’altro, assolutamente nelle sue corde, come sa Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, per il quale la poetica del cantautore americano «è religiosa in radice». In questo senso la brusca virata del Boss si comprende solo tornando all’album The Rising, dedicato alla tragedia dell’11 settembre, dove il cantautore ha elaborato il lutto del popolo americano, accompagnandone il dolore. Lo ha fatto, ad esempio, vestendo i panni di un Vigile del Fuoco (in Into the Fire le parole “fede” e “speranza” accompagnano il protagonista, un pompiere «sparito nella polvere»), e lo ha fatto con la bellissima My City of Ruins, brano che celebra la rinascita della città in rovina e che somiglia a una preghiera («Con queste mani prego Signore/ prego per la fede/preghiamo per i perduti, Signore/ preghiamo per questo mondo»). Ma evidentemente c’è dramma e dramma, e se una tragedia non tocca il cuore è tutto diverso. Forse aveva ragione Dylan, l’altro grande menestrello americano, che cantava di tempi ormai cambiati, The Times They Are a-Changin’.
«ABBIAMO SBAGLIATO A VENIRE A QUESTO CONCERTO?»
Certo che per uno Springsteen che concludeva i 256 concerti acustici a Broadway (siamo nel 2018) facendo recitare un Padre Nostro collettivo, cantare e danzare a meno di un’ora da persone sommerse dall’acqua, e farlo senza spendere una parola sul dramma… suona male. Cosa che i giornali italiani non hanno negato: dalla Stampa («Ferrara, il silenzio di Springsteen al concerto delle polemiche: in 50.000 nel fango per seguire il Boss»; sottotitolo: «L’artista canta per tre ore, ma non dice nulla sulla tragedia dell’alluvione»), al Fatto Quotidiano («Bruce Springsteen in concerto a Ferrara non parla dell’alluvione»; e poi: «Il Boss ha tenuto tre ore di concerto, dopo sette anni di assenza in Italia, ma non c’è stato alcun accenno alla situazione gravissima dell’Emilia Romagna che ha colpito migliaia di cittadini»). Giovanni Ansaldo, critico musicale presente allo show di Ferrara, su Internazionale arriva addirittura a chiedersi: «Abbiamo sbagliato a venire qui? Cos’è stato questo concerto?».
DEBITORI MA NON “PRIGIONIERI”
La risposta forse è più semplice di quanto possa immaginarsi. Tra i fan dell’autore di Born to Run circola da sempre questo detto: «Il mondo si divide in due categorie, quelli che amano Springsteen e quelli che non lo hanno mai visto suonare dal vivo». Da giovedì sera una terza categoria va ingrossando le sue fila, quella che ha assistito a un concerto del Boss ma preferisce tornare al più saggio detto biblico: «Beato l’uomo che non confida nell’uomo». (Fonte foto: Facebook)
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