La giusta lotta al razzismo sta lasciando sempre più lo spazio ad una paranoia antirazzista? Il dubbio francamente viene, con una moltiplicazione quasi quotidiana di fatti già sconvolgenti se presi singolarmente ma che, sommati, diventano la testimonianza di una vera e propria tirannia del politicamente corretto che miete vittime giorno dopo giorno.
D’altra parte, l’elenco di questi episodi cresce in continuazione; solo nelle ultime ore se ne sono verificati diversi di clamorosi. Molto rumore, tanto per cominciare, ha fatto la decisione di Hbo Max – noto servizio di video on demand statunitense della WarnerMedia – di far sparire dal proprio catalogo il celebre film Via col vento, apostrofato da un portavoce di Hbo come «un prodotto del suo tempo» che descriveva «pregiudizi etnici e razziali, sbagliati allora e sbagliati oggi».
Che Via col vento sia un film datato non c’è dubbio (risale al 1939), ma è anche vero che difficilmente può essere accostato al razzismo; se non altro perché consentì di recitare a Hattie McDaniel, la quale proprio grazie a quella memorabile pellicola divenne la prima attrice di colore a ricevere l’Oscar.
Non meno sorprendente, continuando, è la decisione della catena svizzera di supermercati Migros – in risposta alle proteste anti-razzismo – di procedere alla rimozione dei dolcetti “moretti” (in tedesco «Mohrenköpfe», teste di moro) dai suoi scaffali. «Abbiamo deciso di togliere il prodotto dal nostro assortimento», ha spiegato su Twitter la Migros, aggiungendo: «L’attuale dibattito in corso ci ha spinti a rivalutare la situazione. Ci è chiaro che anche la nostra decisione creerà discussioni». In effetti, quale deprecabile sentimento razzista possano aver mai innescato i gustosi “moretti” è del tutto misterioso. Il punto è che ormai non c’è scelta: o ci si inchina al politicamente corretto o si perde la faccia, forse persino il lavoro.
Ne sa qualcosa – per tornare all’elenco di fatti spiazzanti – Greg Glassman, fondatore e amministratore delegato delle palestre CrossFit, uno dei giganti del fitness negli Stati Uniti, giunto alle dimissioni per le polemiche innescate da una sua esternazione in cui, nel corso di una videoconferenza, aveva dichiarato di «non piangere per la morte di George Floyd». Per la verità, Glassman si era comunque già inguaiato ironizzando («It’s Floyd-19», fu la sua battuta, certo di dubbio gusto) su un post dell’Institute for Health Metrics and Evaluation, che definiva il razzismo «un problema di salute pubblica».
Beninteso qui non si sta in alcun modo sposando il pensiero di Glassman; semplicemente, si rileva che egli sia stato costretto alle dimissioni solo per averne espresso un’opinione, per quanto sgradevole. Il che non è esattamente in linea – per usare un eufemismo – con valori occidentali così legati, almeno in teoria, appunto alla libertà di espressione.
Il nome di Glassman va così ad aggiungersi al già corposo elenco di vittime dell’attuale stagione di delirio antirazzista, da Gran Napear – telecronista della squadra di pallacanestro dei Sacramento Kings licenziato per aver replicato «all lives matter» a chi gli chiedeva un parere su BLM – ad Alexis Johnson, giornalista di colore del Pittsburgh Gazette licenziata per aver pubblicato una foto dei rifiuti lasciati dai manifestanti, fino al cattolico Timothy Gordon, docente alla Garces Memorial High School, istituto superiore cattolico di Bakersfield, in California, licenziato per aver definito su Twitter (non con i suoi allievi) Black Lives Matter «una organizzazione terroristica».
La giusta lotta al razzismo sta quindi lasciando lo spazio ad una paranoia antirazzista? Il dilemma iniziale, alla luce della carrellata dei surreali ma autentici fatti qui riportati, conduce ad una amara quanto inevitabile risposta affermativa.
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