L’epopea del famigerato disegno di legge Zan contro l’omotransfobia è ancora lontana dal dirsi conclusa. È stato lo stesso deputato piddino Alessandro Zan, in una pomposa intervista a Repubblica, ad annunciare quello che per gli addetti ai lavori non è stato esattamente un colpo di scena. Mercoledì prossimo, infatti, saranno passati esattamente sei mesi esatti dal voto segreto che cestinò il ddl con l’ormai noto “tagliola” chiesta da Fdi e Lega e accordata dal Presidente Elisabetta Casellati (si tratta del meccanismo previsto dall’articolo 96 del Regolamento del Senato, che a certe precise condizioni consente di «proporre che non si passi all’esame di un disegno di legge»).
Uno stop a tempo, dunque, arrivato dopo che il Paese è rimasto ostaggio per mesi di un dibattito estenuante e tossico. Senza soluzione di continuità, Alessandro Zan riparte proprio da lì, in quinta, con un personalissimo amarcord che regala il mood che sarà: «L’ultima immagine è quella dell’applauso sgangherato e violento delle destre, da ultrà dello stadio, che ha fatto il giro del mondo, facendoci quasi vergognare di essere italiani. Ma il 27 aprile, mercoledì prossimo, scade l’embargo di sei mesi».
PIANTARE BANDIERINE ANCHE SOTTO LE BOMBE
Alla domanda su cosa dovrebbe esserci di diverso oggi rispetto allo stallo politico di sei mesi fa, dalle parole di Zan viene fuori una discreta e nemmeno troppo dissimulata dose di cinismo: «La Lega è molto in difficoltà, e i trascorsi legami con Putin stanno logorando Salvini e le sue posizioni sovraniste. Siamo nel pieno di una guerra in Europa, dunque – togliendo i “benaltristi” che ci saranno sempre – la questione dei diritti è urgente e centrale». Difficile non scorgere in questa risposta la cifra di una sinistra che, scagliando contro chiunque sia in disaccordo la facile accusa di benaltrismo, ha come unico obiettivo quello di piantare le sue bandierine. Perfino sotto le bombe, e con alle porte una paurosa crisi economica.
Chi certamente non abbocca ai lamenti dell’onorevole lettiano è Filippo Savarese, direttore delle campagne di ProVita& Famiglia, che così twitta: «Attenzione, se dal 27 aprile non sentirete più parlare di guerra, Russia, Ucraina sarà solo perché riparte l’iter del ddl Zan, e quindi si imporrà la narrativa sull’(inesistente) “emergenza omofobia in Italia” opportun(istic)amente silenziata negli ultimi mesi».
TORNA IL DDL ZAN? TORNA ANCHE LA RESISTENZA
Nell’enorme macchina propagandistica che si sta rimettendo in moto (partiti, giornali, tv) un particolare può guastare di nuovo la festa. Proprio come il ddl Zan sarà ostinatamente ripresentato nella sua integrità (senza considerare nessuna delle obiezioni da più parti sollevate), con la stessa determinazione tornerà a far sentire la propria voce la maggioranza silenziosa, contraria a provvedimenti liberticidi(delle posizioni di laici come Luca Ricolfi, di costituzionalisti come Michele Ainis e Giovanni Maria Flick, di leader sessantottini come Mario Capanna, di sportivi come Sara Simeoni, scrivemmo già qui).
LE FEMMINISTE TIRANO LA VOLATA
A raccontare la varietà di posizioni su un tema così caldo, va detto che nelle prime ore dall’annuncio del ritorno del ddl Zan, le prime a organizzare una controffensiva sono state le femministe di Rad Fem Italia, allertando intorno alle macerie umane che la codificazione legislativa dell’identità di genere («vera architrave delle legge») porterebbe con sé. «Il mondo occidentale arretra dopo avere constatato i danni causati dall’autoidentificazione di genere e dal self-id», scrivono le femministe gender critical, «a cominciare dall’enorme aumento dei casi di disforia tra le-i minori, trattati precocemente con farmaci dagli effetti irreversibili». Trattamenti che dopo «avere danneggiato seriamente la salute di molte bambine e bambini», sono stati sospesi in molti Paesi «pionieri di queste crudeli terapie di conversione»: dall’Inghilterra alla Svezia, dalla Finlandia all’Australia, fino a vari stati americani.
Per Rad Fem – che nel loro post, quasi un avamposto di resistenza, ricordano i problemi legati ai corpi maschili negli sport femminili (vedi caso Lia Thomas), nonché l’aumento degli stupri nelle carceri comuni a donne e transgender – tutto racconta della «colonizzazione del simbolico femminile», della crescente «impossibilità di dirsi donna» e della cecità di quei politici («soprattutto le senatrici») che «si dispongono a combattere per importare in Italia un prodotto nocivo, già scaduto altrove».
LO SCOPO SONO I BABY TRANS
Del resto, che il ddl sull’omotransfobia non sia nient’altro che il cavallo di Troia per introdurre l’autodeterminazione di genere, è qualcosa che lo stesso Alessandro Zan, forse in un momento di “distrazione” dalla sua tattica rassicurante, ha sciorinato in diretta, ospite di Fedez, con queste precise parole: «Bisogna aiutare i bambini in un percorso di transizione». Uno degli scopi della legge di (in)civiltà, per bocca del suo estensore (trattasi dunque di interpretazione autentica), è quello di agevolare il cambiamento di sesso nei bambini. Avevamo bisogno di una guerra nella guerra?
Potrebbe interessarti anche