Abbiamo incontrato don Samuele Pinna, che ha dato alle stampe Il desiderio di vedere Dio. Amore e misericordia in Dante (Ateneo Pontificio Regina Apostolorum – IF Press, Roma 2020) e Franco Nembrini, il quale non solo ha firmato la Presentazione del volume, ma ha anche pubblicato il commento al Paradiso (Illustrato da G. Dell’Otto, Prefazione di A. D’Avenia, Mondadori, Milano 2021).
Don Samuele Pinna, nella sua pubblicazione dal taglio teologico sulla Commedia, pare essersi ispirato ai commenti di Franco Nembrini, che firma la Presentazione della sua opera.
«Sì, il mio libro è appunto dedicato a Franco perché ha fatto nascere in me (come, immagino, in tante persone) il desiderio di rileggere l’opera di Dante con interesse, cioè come capacità di andar dentro all’essere delle cose. Se il mio campo d’indagine è quello della teologia, ho riletto alcuni canti della Divina Commedia con un (altro) punto di riferimento imparato da Franco. Si tratta di una rilettura che definisco “spirituale”, ma che si potrebbe dire meglio come “esperienziale”: sentire risuonare nella concretezza della nostra vita quanto il Poeta ha scritto, non sentendolo lontano ma prossimo al nostro esistere».
E allora ne approfittiamo per chiedere a Franco Nembrini cosa sia ciò che, leggendo Dante, possiamo sentire “prossimo al nostro esistere”.
«È la scoperta che siamo al mondo per un atto d’amore, che l’amore, essendo la realtà creata da Dio, ne conserva l’impronta e quindi tutta la realtà soggiace alla legge, all’unica vera legge, che è appunto quella dell’amore. A me ciò che impressiona della Divina Commedia è il disegno complessivo, cioè uno la legge, arriva in fondo, e quel che gli rimane è che tutto sia bene, tutto! L’intera realtà è bene ed è segno dell’amore con cui Dio ci ha voluti con un atto di gratuità impressionante: non c’eravamo e non dovevamo esserci. Nulla, infatti, obbligava Dio a fare in modo che io ci fossi e, invece, io ci sono. È questo, mi vien da dire, il grande annuncio del cristianesimo, completato in senso stretto dalla salvezza operata da Cristo, che altro non è che il ripristino di questa volontà originale del Padre».
Si sostiene, però, che il Paradiso sia difficile perché troppo teologico e quindi – secondo questo modo di pensare – astratto e distaccato dal quotidiano. Lei, don Samuele, che è teologo di professione, condivide?
«No. Ma purtroppo è l’idea erronea di “teologia” (e forse anche di una mentalità sempre più anticristiana), che non permette di cogliere la bellezza del “discorso su Dio”. Oggi ci sono almeno due derive nella comprensione di cosa sia teologia. La prima è di ridurla a un pensierino edificante, a volte addirittura costruito con riflessioni molto superficiali, mentre la teologia ha un metodo e un rigore scientifico: si basa sul ragionamento e non sull’istinto emozionale del momento; cerca la verità, non l’opinione passeggera. Per cui, la teologia è la comprensione mediante la ragione della Rivelazione di Dio, del suo messaggio. Dall’altra, il rischio è pensare alla teologia come il frutto di discorsi astrusi, iperuranici e in definitiva inutili per la vita. E non c’è niente di più sbagliato, perché se Gesù Cristo è il vero uomo (e lo è!), allora per essere veri uomini bisogna assomigliare a lui, ma per assomigliare a lui si deve anzitutto comprendere il suo annuncio, e la teologia ha esattamente il compito di illustrarlo. Cosa c’è di più interessante che conoscere l’ordine della realtà, di sapere che Dio è una relazione trinitaria di amore, di capire un Dio che si fa uomo e muore per noi e per la nostra salvezza?».
In questa prospettiva, il percorso del Paradiso risulta essere un cammino di comprensione dei due misteri principali della fede (l’unità e la trinità divina), che sono quanto di più teologico si possa immaginare, ma non per questo lontani dalla vita delle persone, anzi. È esatto, Franco?
«Sì! E si deve leggere il Paradiso scoprendo che, man mano, più si chiarisce il mistero dell’unità e della trinità di Dio e più si chiarisce quel dramma che viviamo tutti del rapporto tra complessità e semplicità, tra unità della persona e rapporto con l’altro. Insomma, le grandi domande: «Ma io se amo una persona alla quale consegno la vita mi realizzo o mi perdo? Nel rapporto con gli amici, con la Chiesa, con l’altro tanto importante e significativo per me, sono più me stesso o vengo meno a me stesso?». Dare la vita per l’altro, sta alla base della ragione dell’esistenza stessa e, quindi, l’affermazione di sé coincide con l’affermazione dell’altro. La grande menzogna della modernità, che stiamo pagando carissimo, è la parola “individuo”, che vuol far credere che uno è tanto più libero quanto meno dipende dagli altri. Dante ci mostra che non è vero. La grande regola dell’essere è l’amore. La Divina Commedia è questa visione stupenda della realtà e spiega la natura di Dio come amore, cioè come Trinità».
Grazie per aver offerto ai lettori riflessioni non usuali sull’opera dantesca!
«Sono io che ringrazio, con don Samuele, di questa occasione e ne approfitto per lanciare l’appello a che Dante possa essere di nuovo letto in questo modo! Letto così soprattutto per i giovani».
Sì, mi associo a quello che dice Franco, un Dante per il popolo, com’era in passato.
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