L’incomprensione nei confronti della famiglia propria dell’Unione Sovietica del secolo scorso è ancora oggi in atto in Occidente?
Per l’economista, ricercatrice e docente universitaria Clara E. Jace (foto a lato) la risposta è affermativa, come argomenta in un lungo articolo apparso su The Public Discourse.
Per analizzare la questione, la Jace richiama il pensiero di Alexandra Kollontaj, femminista e leader bolscevica che «personificava l’approccio sovietico alla vita familiare» rifacendosi agli scritti di Marx ed Engels, la quale nel 1920 scriveva: «Lo Stato non ha bisogno della famiglia perché l’economia domestica non è redditizia: la famiglia distrae il lavoratore da lavori più produttivi e utili. Anche i familiari non hanno bisogno della famiglia, perché il compito di crescere i figli, già loro, passa sempre più nelle mani della comunità».
«L’ECONOMIA DOMESTICA NON È REDDITIZIA»
Un primo punto di riflessione riguarda dunque il valore prodotto dalla famiglia. Se è pur vero, afferma l’economista, che «la continua espansione del mercato e la divisione del lavoro ha ampliato il luogo di produzione mercantile, andando oltre la piccola fattoria di famiglia o la bottega artigiana», non va ignorato il passo ulteriore compiuto dalla Kollontaj, per la quale «tutto ciò che la famiglia fa dovrebbe essere (o è già stato) esternalizzato allo Stato». Al che la Jace si domanda: «Il comunismo può davvero sostituire la famiglia?». E la risposta è negativa, per un motivo tanto semplice, quanto inequivocabile: «In fondo», scrive infatti, «la famiglia è più antica della più antica istituzione che persiste ancora oggi (la Chiesa cattolica), ed è sicuramente il più antico sistema di governo. Usando termini economici, altri produttori (lo Stato, le imprese sul mercato, ecc.) non sono stati in grado di fornire sostituti sufficientemente buoni per tutti i beni e servizi che la famiglia mette in atto». Beni e servizi che, nell’ambito domestico, non possono essere ridotti a un elenco di attività: una mamma che culla e allatta il suo bambino – oltre a fare il bucato, preparare un pasto caldo, etc. – dà un contributo allo sviluppo umano della prole che non è esternalizzabile, ma la cui incisività ha ripercussioni nel presente, e soprattutto nel futuro.
«LA FAMIGLIA DISTRAE IL LAVORATORE DA LAVORI PIÙ PRODUTTIVI E UTILI»
La famiglia distrae il lavoratore… ma da cosa? E per compiere un lavoro che va a vantaggio di chi?
«Con il pretesto di “efficienza” (un termine che ha significato solo rispetto a uno scopo predefinito)», afferma la Jace, «Kollontaj assume che il valore della famiglia derivi da quanto bene sostiene lo Stato, e non viceversa». In tale ottica, appare di primaria importanza insidiare gli stretti legami familiari (dalle unioni di fatto, al divorzio; dalla proibizione delle adozioni, al venir meno della successione) e limitare il ruolo dei genitori nell’educazione dei figli. Mettere al mondo figli che, a dispetto di posizioni altalenanti sulla possibilità di abortire, dovrebbe essere per le donne – sempre a detta della Kollontaj – «un obbligo sociale».
«ANCHE I FAMILIARI NON HANNO BISOGNO DELLA FAMIGLIA»
È vero che non si ha bisogno della famiglia? Su questo punto non tutti i sovietici erano d’accordo. E la storia ha dato loro ragione: infatti, «prima del 1945, il Partito aveva già abrogato quasi tutte le sue politiche familiari dell’era rivoluzionaria (tranne il suo divieto di matrimonio religioso), sostituendole con leggi “pro-famiglia”». Se, quindi, già con il finire della Seconda guerra mondiale la Kollontaj era stata accantonata, è altresì vero «che l’incomprensione sovietica del mercato si è ripetuta nell’incomprensione della famiglia. L’errore tipico è stato non vedere la persona umana come creativa e decaduta allo stesso tempo; che, per inciso, è il tipo di essere che si sviluppa in una famiglia».
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