Dal messaggio per la Quaresima di monsignor Edoardo Aldo Cerrato, vescovo di Ivrea:
Siamo sulla soglia della nostra annuale salita alla Pasqua. Le Ceneri benedette e imposte sul nostro capo richiamano la nostra fragile condizione di uomini, espressa, senza mezzi termini, dalla prima delle formule che accompagnano il gesto: «Ricordati, uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai»; e richiamano la necessità del pentimento per i nostri peccati: non un vago senso di insoddisfazione, ma la volontà di un cambiamento reale, espressa, con identica chiarezza, dalla seconda formula: «Convertitevi e credete al vangelo».
Ogni anno ritorna il medesimo gesto e risuonano le medesime parole, ed ogni anno la Santa Chiesa ne ripropone il significato. La Liturgia, infatti, non va in cerca di sempre nuovi segni, poiché l’importante è ciò che essi immutabilmente esprimono; non teme la ripetizione, poiché ripetere è “chiedere nuovamente” e “nuovamente dirigersi” verso la meta. Partecipazione attiva è entrare nel contenuto dei segni, lasciarsi coinvolgere. Nel ricevere sul nostro capo le Ceneri noi esprimiamo la consapevolezza di essere fragili e peccatori e la necessità di convertirci, di ritornare al Signore, come Egli ci chiede nella Parola che risuona il primo giorno di Quaresima: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, pianti e lamenti, laceratevi il cuore e non le vesti» (Gio. 2,12-18); «Lasciatevi riconciliare con Dio… Non accogliete invano la sua grazia» (2 Cor. 5,20-21.6,1-2).
Sui tre passi del ritorno – elemosina, preghiera e digiuno (Mt. 6,1-6.16-18) – il Signore ci mette in guardia: «State attenti… Non fate come gli ipocriti…»!
Questa ipocrisia è un rischio sempre in agguato. Se i nostri gesti quaresimali non sono espressione della volontà di conversione, se, compiendoli, non passiamo da una vita centrata su noi stessi ad una vita centrata su Dio, da una libertà che si difende e si arrocca ad una libertà che aderisce al Dio vivente, da uno sguardo miope ad uno sguardo che accoglie quello di Dio, possono esserci preghiera, elemosina e digiuno, ma nulla cambia, o cambia ben poco.
Conversione è centrare la vita su Dio in un cammino di liberazione da tanti atteggiamenti che vengono da una “carne” che non si lascia toccare dalla Grazia di Cristo: il pregiudizio e il sospetto; la battuta ostile; uno sguardo sulle cose, le situazioni, le persone, che non si lascia rinnovare; una chiusura a conoscere davvero le ragioni dell’altro e a fare una onesta verifica delle proprie e dei nostri effettivi risultati; irrigidimenti e risentimenti; recriminazione verso gli altri; suscettibilità e scontrosità; menzogna che è chiudersi in ciò che già si sa o si crede di sapere, con il risultato di rifiutare la correzione e di non imparare più nulla; mancanza di quell’umiltà che, tra le sue espressioni, ha, di non poca importanza, il sano umorismo…
I Latini chiamavano angustiae i luoghi dove la strada si infossa, si restringe e dove cresce il pericolo degli agguati del nemico… Conversione è uscire da queste angustiae nelle quali si vive con una sensazione di privazione e di vuoto che genera insoddisfazioni, lamenti, recriminazioni e cattive solitudini, e rende incapaci di gustare già ora, nella fatica dell’esistenza terrena, nel combattimento che essa comporta, il “centuplo” promesso da Cristo.
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