Alle 5:30 di sabato 16 ottobre 1943 iniziò il rastrellamento degli Ebrei che abitavano il ghetto di Roma. 1259 il numero delle persone arrestate, uomini, donne e bambini, 1007 il numero dei morti in campo di concentramento (uomini, donne e bambini), 16 il numero dei sopravvissuti (15 uomini, 1 donna). A nulla ovviamente valse la consegna dell’oro richiesto, a garanzia dell’incolumità, da Kappler alla comunità ebraica romana: l’oro fu raccolto, anche con l’aiuto di Pio XII, e consegnato martedì 28 settembre. Il 16 ottobre successivo si scatenò la barbarie, sotto le finestre del Papa.
A distanza di ottantuno anni la sinagoga di Roma è continuamente presidiata dalle Forze dell’Ordine, perché l’antisemitismo è una piaga che ancora ferisce la nostra umanità. Si tratta di una situazione assai grave perché l’antisemitismo serpeggia e dilaga con la scusante delle morti causate dallo Stato di Israele alla Palestina, quasi che la nostra società così moderna, così avanzata, perché noi la riteniamo così, si avvalga ancora della categoria di pensiero della faida: la violenza non solo chiama altra violenza ma, addirittura, la rende necessaria ai fini di una presunta giustizia. Come non rimanere sgomenti davanti alla violenza e alla mentalità che la genera e la giustifica! Al di là della guerra in sé e per sé combattuta in Medio Oriente, quello che sta accadendo in Europa con la caccia all’ebreo è frutto di una profonda ignoranza del passato, in modo particolare dei forni crematori della Germania nazista, conseguenza anche del fatto che, per ragioni cronologiche, sono sempre meno i sopravvissuti in grado di testimoniare l’orrore: il documentario visto in classe purtroppo, a quanto pare, non si è rivelato sufficiente.
A questa ignoranza del passato si aggiunge un atteggiamento colpevole della classe politica che non è in grado di dire in modo chiaro, coraggioso e fermo che sostenere lo Stato di Israele duramente attaccato non vuol dire non essere sensibili al dramma dei bambini di Gaza, che mantenere un atteggiamento volutamente divisivo non solo non aiuta la società ma non fa altro che inasprire il conflitto, in Israele come in qualsiasi altra parte del mondo. Occorre essere molto prudenti, sempre, ma soprattutto quando si affrontano argomenti per i quali non si è stati in grado, per decenni, dal 1948 ad oggi, di trovare soluzioni, semplicemente per il fatto che l’ideologia ha sempre avuto il sopravvento e il risultato dell’affrontare in modo ideologico il problema sta sotto gli occhi di tutti: gli ostaggi e le vittime delle violenze tra il popolo israeliano, le vittime innocenti dei bombardamenti tra il popolo palestinese, tutte vittime, tutte innocenti, tutte sullo stesso piano.
Anche su questo fronte occorre che gli adulti facciano gli adulti, siano essi insegnanti o genitori, e che trasmettano alle nuove generazioni l’amore per la verità e la giustizia, unitamente al rifiuto dell’idea della violenza come vendetta o strumento per esercitare la giustizia. E poi occorre che i giovani stiano attenti a chi scelgono come guida e che abbiano la consapevolezza che occorre fuggire e denunciare chi predica odio e divisione. Per una coincidenza, o forse per un misterioso disegno della Provvidenza, a distanza di trentacinque anni, proprio il 16 ottobre del 1978, veniva eletto alla cattedra di Pietro il cardinale Karol Woityla che, in virtù della sua origine, aveva vissuto in prima persona la barbarie nazista e poi l’ideologia comunista. Nell’omelia da lui pronunciata durante la S. Messa presso il campo di concentramento di Auschwitz, il 7 giugno 1979, egli disse: «Può ancora meravigliarsi qualcuno che il Papa, nato ed educato in questa terra, il Papa che è venuto alla Sede di San Pietro dalla diocesi sul cui territorio si trova il campo di Auschwitz, abbia iniziato la sua prima Enciclica con le parole Redemptor hominis e che l’abbia dedicata nell’insieme alla causa dell’uomo, alla dignità dell’uomo, alle minacce contro di lui e infine ai suoi diritti inalienabili che così facilmente possono essere calpestati ed annientati dai suoi simili? Basta rivestire l’uomo di una divisa diversa, armarlo dell’apparato della violenza, basta imporgli l’ideologia nella quale i diritti dell’uomo sono sottomessi alle esigenze del sistema, completamente sottomessi, così da non esistere di fatto? Non armiamo l’uomo di nuove violenze e di nuove ideologie, bensì rivestiamolo della conoscenza e della sete di giustizia e di verità!»
(Foto Ansa)
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