«In Italia il numero di intercettazioni è di gran lunga superiore alla media europea. Il loro costo è elevatissimo, gran parte si fanno sulla base di semplici sospetti e non concludono nulla. Noi ne proporremo una profonda revisione e vigileremo in maniera rigorosa sulle diffusioni arbitrarie e improprie». Parole pronunciate dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio, lo scorso martedì, davanti alla commissione Giustizia del Senato per spiegare il suo programma e le sue priorità. Un pensiero che sembra molto chiaro e critico verso quello che lo stesso Ministro ha definito anche «come uno strumento micidiale di delegittimazione» e di cui abbiamo voluto parlare con l’avvocato Francesco Cavallo del Centro Studi Livatino.
Che ne pensa del piano esposto del ministro Nordio sulla giustizia?
«Siamo abituati a giudicare i fatti, ovvero i testi normativi, non tanto gli auspici. In questo caso siamo all’esposizione, per quanto organica, di auspici: vedremo se e quando queste dichiarazioni programmatiche o alcune di esse troveranno attuazione. Ricordo che anche il precedente Ministro della Giustizia ebbe a presentarsi con ottimi auspici: tuttavia ciò che è residuato dalla precedente esperienza di governo sono mini-riforme che in parte hanno deluso le aspettative.
A onor del vero va detto, però, che si fa fatica a ricordare delle linee programmatiche in materia di giustizia così esplicitamente ispirate ai principi costituzionali del giusto processo e, dunque, condivisibili. C’è da augurarsi che tutta la maggioranza di governo sul tema sia coraggiosa come lo sono state le parole del suo Ministro e che da queste parole si passi ai fatti: una legislatura trascorre in fretta.
Dall’abuso delle intercettazioni alla separazione delle carriere, dalla presunzione di innocenza alle ingiuste detenzioni, dalle criticità del sistema carcerario a quelle della magistratura, si tratta di temi sui quali da sempre il Centro Studi Livatino cerca con equilibrio e senza partigianerie ideologiche di tenere desta l’attenzione».
A proposito delle intercettazioni, il ministro della Giustizia ne ha parlato in modo molto critico, descrivendole come «uno strumento micidiale di delegittimazione». Che ne pensa?
«Guardi, la captazione di conversazioni tra presenti mediante l’ausilio di strumenti informatici o telematici è un mezzo di ricerca della prova e, come tale, talvolta necessario. Il problema è, da una parte, l’abuso dello strumento investigativo (trasformato in mezzo di prova o addirittura di ricerca dei rati) e, dall’altra, l’uso che si fa dei suoi risultati ovvero la divulgazione delle conversazioni.
A parole pochi negano che la divulgazione di brani, sintesi o trascrizioni integrali di conversazioni intercettate, talvolta pure prive di rilievo penale, o addirittura di attinenza alle indagini, abbia assunto da decenni connotazioni selvagge. É chiaro che questo mix esplosivo, intercettazioni -diffusione mediatica (vieppiù su web, dunque perenne), condiziona pesantemente la vita personale dei cittadini ma anche la vita pubblica, quella politica, quella amministrativa, quella imprenditoriale, quella religiosa: nessuno può essere certo di sfuggirvi.
Ora, la conversazione intercettata può essere diffusa o perché viene passata ai media illegalmente, o perché viene comunque usata a sostegno di provvedimenti giudiziari, per es. una ordinanza di custodia cautelare. In entrambi i casi arriva ai giornalisti perché il magistrato che ne dispone o la consegna in prima persona, o permette che altri alle sue dipendenze la girino, o la inserisce fra gli atti soggetti a deposito. Il nocciolo della questione è quindi impedire che avvenga la trasmissione degli atti. Sul punto, accanto alla doverosa ricerca di maggior rigore normativo sulle regole procedurali delle intercettazioni occorre rafforzare il profilo deontologico degli uffici giudiziari e dei loro vertici, ma anche degli avvocati e dei giornalisti, con una tipizzazione di comportamenti chiamando tutti all’esercizio delle proprie responsabilità».
C’è stato, effettivamente un abuso di intercettazioni nel nostro paese?
«Non credo che alcuno possa dubitarne. Il numero di utenze intercettate (e dei relativi costi) è letteralmente abnorme e risulta, ancor più abnorme, a confronto proporzionale con il numero di condanne passate in giudicato all’esito di processi nei quali ci è avvalsi di questo strumento come mezzo di ricerca della prova.
Il tema, ripeto, è che le intercettazioni sono un mezzo di ricerca della prova, servono per acquisire le prove (come le ispezioni, le perquisizioni, i sequestri): non sono né mezzi di prova né mezzi di ricerca della notizia di reato. Da decenni, invece, va proprio così: attraverso le intercettazioni si cercano reati e si ritengono provati i reati. Quindi intanto c’è da ridisegnare i confini e la ratio dell’istituto»
Le priorità della giustizia italiana sono queste o ci sono altre questioni su cui intervenire?
«Le questioni sarebbero tante, difficile sintetizzarle. Certamente, riforme sono indilazionabili: sia di quadro, fino a toccare taluni articoli della Costituzione, sia di dettaglio. Accanto questo credo non sia più rinviabile il tema di una riforma, ma sarebbe meglio dire rinascita, deontologica, soprattutto nella magistratura e nel suo autogoverno.
In ogni caso, va detto con forza che il primo grande tema della giustizia italiana, ma che nessuno vuole affrontare, è quello per cui non servono tanto continue modifiche dei riti quanto più magistrati, in tutte le giurisdizioni e in tutti i ruoli. Chi abbia pratica della prassi giudiziaria ha ben chiaro che ciò che serve non è tanto un ufficio di studiosi o tirocinanti cui far svolgere ricerche giurisprudenziali, o cui affidare un primo esame dei fascicoli: ma decisioni giuste, logiche e coerenti, destinate a essere confermate negli eventuali successivi gradi di giudizio (un criterio di resistenza purtroppo attualmente estraneo ai criteri di valutazione dei magistrati). Ciò appare evidente per la giustizia penale, ma lo è nondimeno per la giustizia civile». (Foto: Imagoeconomica)
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