«Per ragioni note a tutti, d’ora in poi il nostro sito non potrà più servire fratelli e sorelle in Cristo. Grazie a tutti per la vostra compagnia e supporto negli ultimi 21 anni!».
Questa la frase che campeggia, come rilevato dall’International Christian Concern (organizzazione americana ecumenica, non governativa e non di parte che si occupa dei diritti umani dei cristiani e delle minoranze religiose) e riportato dal sito The Christian Post, sull’ormai ex sito cristiano cinese Jona Home.
Sito che non altro non è che l’ennesima vittima della repressione della libertà di confessione, di espressione e di pensiero mietuta dal Paese dalla bandiera rossa e la cui “testa” è venuta a cadere ora in relazione all’entrata in vigore, il 1 marzo di quest’anno, delle nuove misure di censura partorite alla fine dello scorso anno dall’Amministrazione statale degli affari religiosi, dall’Ufficio nazionale di informazione su Internet, dal Ministero dell’industria e dell’informatica, dal Ministero della pubblica sicurezza e dal Ministero della sicurezza nazionale.
In estrema sintesi, in virtù di esse è necessaria, riportava già al tempo dell’approvazione il sito Bitter Winter, una «licenza» per quanti offrono «servizi di informazione religiosa su Internet»; licenza che può essere data «solo a organizzazioni che fanno parte delle cinque religioni autorizzate [il buddhismo, il taoismo, il protestantesimo, il cattolicesimo e l’islam, ndR]» e che comunque, anche in questo caso, la pubblicazione di contenuti è soggetta a «sorveglianza e limitazioni» da parte delle autorità, affinché non venga fatto «proselitismo» – soprattutto nei confronti dei minori, i quali non devono essere indotti a «credere» – e vengano comunque sostenuti «i valori socialisti» e «il Partito».
Chi non rispetta questi precisi e stretti parametri fortemente voluti da Xi Jinping, come evidentemente il sito Jona Home, viene censurato. E, neanche a dirlo, «qualsiasi altro riferimento alla religione sul web è dichiarato illegale», sia esso esplicito o anche solo frutto di allusione.
Un altro esempio della rigidità e pervasività delle misure governative oramai vigenti da due mesi? Sul servizio di messaggistica testuale e vocale cinese per dispositivi portatili WeChat recentemente un gruppo confessionale si è visto impossibilitato a inviare un messaggio in quanto contenente la parola «Cristo». Parola che, hanno ricevuto a giustificazione del blocco, «viola le normative».
Ad ogni modo, per fortuna, la fede non passa solamente su internet. Anzi. Il web è di certo uno strumento di amplificazione che è utile e interessante sfruttare, laddove se ne ha la possibilità, ma la storia ci insegna che il Signore ama servirsi degli uomini in carne e ossa per “pescare” nell’oceano del mondo, come nella stessa Cina dimostra il “sommerso” di vita religiosa che non accenna a fermarsi, nonostante tutto e contro tutti.
E, in questa stessa ottica, il sito web Jona Home ha voluto aggiungere, nell’avviso sulla censura subita, un altro trafiletto: «La scomparsa di un sito Web è semplicemente la scomparsa di un sito Web, non ha alcun significato. A parte il fatto che il collegamento al sito Web non può più essere aperto, non c’è nient’altro che si sia fermato in quel momento. Non devi preoccuparti e continua a camminare».
La censura, lo sappiamo già, non avrà l’ultima parola.
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