Nonostante la pandemia, il contagio e le misure restrittive disposte per arginarlo – con tutti i risvolti economici negativi del caso -, non tutti i settori sono in crisi. Ve ne sono anche alcuni che restano prosperi, purtroppo; diciamo «purtroppo» perché si tratta talvolta di ambiti moralmente inaccettabili, come per esempio quello della prostituzione e della relativa tratta.
I numeri globali delle vittime della tratta sono impressionanti – parliamo di 25 milioni di persone, secondo i dati Dipartimento di Stato americano nel Report 2020 Trafficking in persons, il 30% delle quali minori e la gran parte vittime di schiavitù sessuale, nell’industria della prostituzione e nel turismo sessuale – ma anche quelli nazionali non paiono affatto rassicuranti.
Parola del Codacons, a detta del quale «l’emergenza coronavirus non ha intaccato il mercato del sesso a pagamento, ma ha determinato una sostanziale modifica nelle abitudini e nelle modalità di fruizione dei servizi offerti». «A partire dal lockdown e nei mesi seguenti le strade delle nostre città», puntualizza sempre il Codacons, «si sono svuotate di prostitute, prima per i divieti agli spostamenti, poi per una riduzione della clientela in circolazione, causata dalla paura generata dal Covid. Parallelamente è aumentato il ricorso al web (+60% rispetto al 2019) sia sul fronte della domanda che dell’offerta».
Che la realtà in parola sia allarmante lo conferma al Timone anche Irene Ciambezi giornalista pubblicista, esperta in comunicazione e mediazione interculturale e, per la Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Benzi, referente della comunicazione dell’ambito antitratta. «Sì», spiega, «il mercato del sesso non si è mai fermato. È diminuita drasticamente la presenza nella prostituzione in strada come osservato in questi ultimi 6 mesi dalle nostre Unità di strada presenti in 26 città italiane di 12 Regioni. Il fenomeno si è trasformato ed è aumentato nella prostituzione indoor e nell’offerta di servizi sessuali online». «Durante il lockdown», aggiunge la giornalista, «la nostra Comunità è stata la prima ad aver da subito inviato un appello al Governo e al Ministro per le Pari opportunità Elena Bonetti per sottolineare l’urgenza di sanzionare i clienti e tutelare le vittime, dando a quest’ultime informazioni utili per l’uscita dall’industria della prostituzione e la necessaria assistenza. E continuiamo a riproporre il medesimo appello perché sono tantissime le donne sudamericane, albanesi, bulgare, rumene, nigeriane che di giorno e di notte in diverse modalità sono costrette a vendere il proprio corpo, anche davanti ad una webcam».
Da parte sua, continua, la Comunità Papa Giovanni XXIII sta cercando di fare la sua parte per arginare questo fenomeno invisibile ma gravissimo, oltre che moralmente inaccettabile naturalmente: «A queste giovani sfruttate che ci contattano telefonicamente o che incontriamo nei contatti in strada abbiamo la possibilità di proporre la fuoriuscita e anche di ricevere la dovuta assistenza sanitaria. Ma quante volte ci hanno raccontato di uomini che chiedono prestazioni sessuali non protette. Figuriamoci se si preoccupano di indossare la mascherina!».
La referente della dell’ambito antitratta della Comunità fondata da don Benzi ne ha, comprensibilmente, anche per la politica («Dei clienti troppe volte la politica non si preoccupa») e spiega come lei e il suo gruppo siano al lavoro, anche in questi mesi di pandemia, per arginare la tratta della prostituzione: «Da una parte stiamo cercando di interpellare di continuo le istituzioni a livello locale, nazionale e anche europeo perché sia sempre più rafforzata la rete di collaborazione tra organizzazioni impegnate al fianco delle donne e dei minori vittime spessissimo anche di tratta, le forze di polizia che continuano nel lavoro impegnativo di assicurare alla giustizia i trafficanti».
Ciambezi ricorda inoltre quanto la Papa Giovanni XIII sia al lavoro per «proteggere le vittime e garantire un futuro certo nel mondo del lavoro. Per questo con organizzazioni di Germania, Austria e Italia attraverso il progetto europeo INTAP rivolto a vittime di tratta nigeriane e cinesi, abbiamo rafforzato i percorsi di avvio al lavoro: in modo che non possono più essere rivittimizzate ovvero adescate e reinserite nei circuiti di sfruttamento».
«Dalle istituzioni locali», aggiunge l’esperta nella fase finale della chiacchierata con il Timone, «ci aspettiamo campagne di sensibilizzazione più costanti sull’anello della catena di sfruttamento di colui che compra il corpo delle giovani donne, anche se spesso sa che sono sfruttate. Come quella che portiamo avanti da anni con numerose autorità, organizzazioni, sindacati, intitolata non a caso Questo è il mio corpo. Lo abbiamo ribadito anche la scorsa settimana nella diretta Fb con il Ministro Elena Bonetti. Occorre una legge che scoraggi i clienti della prostituzione».
Che dire: una legge di questo tipo aiuterebbe molto. Ma troverà ascolto, una simile proposta, nelle istituzioni e soprattutto in un esecutivo italiano e in una maggioranza parlamentare che – omofobia docet – sembra in tutt’altre faccende, purtroppo, affaccendato? Le premesse non sembrano felicissime. Staremo a vedere.