Pubblichiamo un ampio stralcio dell’omelia di monsignor Sanguineti pronunciata domenica 14 giugno in Cattedrale a Pavia
di Corrado Sanguineti*
(…) Nel cammino dell’esistenza, a tutti accade di attraversare e di conoscere il deserto: sia nella vita personale, che in quella familiare e sociale, ci sono tempi di deserto, inteso qui nella sua accezione negativa. Il deserto evoca solitudine, isolamento, rischio di perdere l’orientamento, la fatica della sete e del sole cocente, il pericolo di animali che possono fare del male o causare perfino la morte: normalmente il deserto si attraversa, non ci si ferma a lungo, non si costruiscono dimore stabili, a meno che non si trovi l’acqua in zone di oasi, o s’inventino sistemi per conservare l’acqua piovana.
Ecco, l’esperienza vissuta nei mesi scorsi, soprattutto nel tempo difficile del lock down, pur avendo in sé ricchezze e valori da non disperdere, è stata un tempo di deserto: città e paesi immersi in un silenzio surreale, luoghi di lavoro, d’incontro e di svago chiusi, poche e rade persone per le strade, la sensazione di un’insicurezza diffusa, l’incertezza sul futuro, l’ansia e la preoccupazione per le persone malate, la ferita di perdere parenti e amici soli nei loro ultimi giorni. Sono tutti volti differenti di questo “deserto” che abbiamo attraversato e da cui non siamo ancora usciti.
Esiste, poi, un deserto meno evidente, che può benissimo accompagnare una vita normale, anche il tempo della ripresa che stiamo vivendo, con tanti interrogativi. C’è una solitudine che può accompagnare la vita di anziani e di persone dimenticate, che passano giorni senza vedere e sentire nessuno; c’è un isolamento, un’estraneità che possono insinuarsi nei nostri condomini, nei nostri paesi, a volte nell’ambiente di lavoro e perfino nelle famiglie; c’è una mancanza di prospettive e di futuro, che può rendere vecchio il cuore di un giovane, e soprattutto c’è un modo d’impostare la vita, dove tutto è ridotto a prendere, consumare, sperimentare, senza un significato, senza aver chiara una mèta, qualcosa per cui valga la pena vivere, amare, soffrire, morire!
Se tornare alla vita di prima volesse dire cancellare la memoria dell’esperienza vissuta, senza trattenere il bene accaduto tra noi, senza rivedere modelli e modi di vita che hanno mostrato tutta la loro povertà e inadeguatezza di fronte alla domanda di senso che l’epidemia ha rimesso in gioco, sarebbe davvero disperdere la ricchezza nascosta nella prova.
Se abbiamo a cuore il nostro cammino umano, vigiliamo perché il deserto non avanzi tra noi: «E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione» (Benedetto XVI, Omelia nella Messa per l’inizio del Pontificato, 24 aprile 2005).
Carissimi amici, Dio non ci lascia soli nei nostri “deserti”, come non ha lasciato solo il suo popolo: anche noi, come Israele, a volte ci lamentiamo, mormoriamo, ci ribelliamo, più spesso cadiamo nella dimenticanza, perdiamo la memoria dei segni e dei doni di Dio. Ma il Signore è fedele, ha donato a Israele la manna, questo alimento che scendeva dal cielo, per fare capire a loro e a noi «che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8,3).
Sì, per vivere davvero, non basta il pane, che pur è necessario, non basta riempire la vita e il cuore di cose e di beni: abbiamo bisogno di ciò che esce dalla bocca del Signore, di un pane che discende dal cielo, e che dona la vita vera, piena, eterna!
Per Israele la manna che l’ha nutrito nel deserto è diventata il simbolo del pane sostanzioso della parola di Dio, della sua sapienza e della sua legge che nutrono l’anima e mostrano la via della vita. Ora tutto si raccoglie e si concentra nella persona di Cristo: è lui il pane vivo disceso dal cielo, il Figlio che proviene dal Padre, è lui la Parola di Dio fatta carne, volto umano tra noi uomini, ed è lui che ci dona se stesso nel segno del pane spezzato, nel sacramento del suo corpo e del suo sangue, come vero cibo e vera bevanda.
Che impressione il realismo che traspare nel vangelo di Giovanni, nel grande annuncio di Cristo: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,51.53.56.58).
È l’Eucaristia, sacramento della comunione al corpo e al sangue del Signore, che ci rende membra di uno stesso corpo, ci fa Chiesa: «Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane» (1Cor 10,17).
Così l’estraneità che può insinuarsi nei rapporti quotidiani è vinta alla radice: se ci nutriamo di uno stesso pane, che è Cristo vivente tra noi, se in noi circola la stessa vita, che è lo Spirito di Cristo in noi, allora siamo una cosa sola. E se un membro soffre, dovremmo tutti sentirci coinvolti e partecipi della sua sofferenza, e se un membro gioisce, la sua gioia è anche la nostra!
Perciò, carissimi fratelli e sorelle, l’Eucaristia accolta e celebrata in Spirito e verità dilata il cuore, rende lo sguardo attento a chi fa più fatica, a chi vive difficoltà e solitudine in questo tempo: che l’esperienza di questi mesi non passi invano, non sia presto dimenticata e cancellata!
Nella forza di Cristo, spezzato per noi, apriamo il cuore e la vita a Dio e ai fratelli, riconosciamoci davvero un solo corpo in Lui! (fonte)
*Vescovo di Pavia
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