Da anni è uno dei cavalli di battaglia dei Radicali. La cannabis doveva/deve essere legalizzata per uso terapeutico, per lenire il dolore, ora la scienza, tanto invocata e sbandierata in questi due anni, mette in serio dubbio questo mantra. A farlo è uno studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association, rivista scientifica considerata tra le più autorevoli del settore. Parlando di quella che viene comunemente considerata droga leggera, e che leggera non è, lo studio mette nero su bianco che : «Sebbene la cannabis (e i prodotti derivati, come il CBD) possano essere ampiamente utilizzati per ridurre il dolore – scrive Aduc – non è ancora chiaro quanto sia realmente efficace nel farlo».
Prima di entrare nel merito dello studio è interessante notare che la notizia sia stata pubblicata da Aduc, Associazione Utenti e Consumatori, non certo ascrivibile al fronte dei cosiddetti proibizionisti anzi, il sito ha una sezione dedicata alle droghe in cui si trovano molti contributi a favore della legalizzazione della cannabis, di cui uno soltanto una settimana fa in cui si racconta con toni incoraggianti di un «disegno di legge autonomo sulla cannabis negli Stati Uniti», significativo dunque che un pulpito del genere oggi pubblichi un articolo di senso contrario, segno che forse quella che sembrava una verità universalmente accettata – ossia che certamente la cannabis aiuta a lenire il dolore – possa invece essere messa in discussione.
Il merito è ancora più interessante. In sostanza lo studio evidenzia che la cannabis non è migliore nell’alleviare il dolore di un placebo. Si legge infatti: «abbiamo esaminato i risultati di studi controllati randomizzati in cui la cannabis è stata confrontata con un placebo per il trattamento del dolore clinico. Abbiamo specificamente incluso studi che hanno confrontato il cambiamento nell’intensità del dolore prima e dopo il trattamento. In totale, abbiamo esaminato 20 studi che hanno coinvolto complessivamente quasi 1.500 persone. […] La maggior parte dei partecipanti allo studio era di sesso femminile (62%) e di età compresa tra 33 e 62 anni. […]La nostra meta-analisi ha mostrato che il dolore è stato valutato come significativamente meno intenso dopo il trattamento con un placebo, con un effetto da moderato a ampio a seconda di ogni persona. Inoltre, il nostro team non ha osservato alcuna differenza significativa tra la cannabis e un placebo per ridurre il dolore».
L’articolo richiama e conferma anche i risultati di una meta-analisi del 2021 secondo cui, si legge ancora su Aduc: «studi di qualità superiore con migliori procedure di accecamento (in cui sia i partecipanti che i ricercatori non sono a conoscenza di chi sta ricevendo il principio attivo) hanno effettivamente avuto risposte al placebo più elevate. Ciò suggerisce che alcuni studi sulla cannabis controllati con placebo non riescono a garantire un corretto accecamento, il che potrebbe aver portato a una sopravvalutazione dell’efficacia della cannabis medica».
Il lavoro prosegue poi esaminando anche la copertura mediatica degli studi sul tema per evidenziarne eventuali correlazioni con l’effetto terapeutico rilevato dai partecipanti allo studio stesso. Interessante la conclusione: «Non possiamo dire con certezza al 100% che la copertura mediatica sia una risposta per l’elevata reazione al placebo osservata nella nostra recensione. Ma dato che i placebo hanno dimostrato di essere efficaci quanto la cannabis per la gestione del dolore, i nostri risultati mostrano quanto sia importante pensare all’effetto placebo e come può essere influenzato da fattori esterni, come la copertura mediatica. Per i trattamenti, come i cannabinoidi, che ricevono molta attenzione da parte dei media, dobbiamo essere estremamente rigorosi nei nostri studi clinici». Una precisazione utile per chi – anche in casa cattolica – ancora crede ai venditori di fumo.
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