Al centro dell’appuntamento veronese ci sarebbe dovuta essere la famiglia, ma il fuoco di fila mediatico delle ultime settimane aveva già fatto intuire che non sarebbe stato così: le bugie più fantasiose sono state spacciate per vere, gli organizzatori sono stati insultati e denigrati, e in moltissimi si stanno organizzando da tutta Italia per una grande contromanifestazione contro quello che viene definito «il ritorno al Medio Evo». Non c’era da stupirsi dunque se le decine di giornalisti appostate fuori dalla Gran Guardia fossero sul piede di guerra già dalla prima mattina di ieri: alla ricerca spasmodica della dichiarazione fuori posto, come avvoltoi piombavano sui convegnisti cercando di strappare quelle posizioni così inaccettabili che da sole avrebbero squalificato l’evento, posizioni che sono opinioni, come quella di essere contro l’aborto, contro le cosiddette unioni civili, contro l’utero in affitto, contro il divorzio, ovvero gli intoccabili dogmi del politicamente corretto.
Perché il tema centrale nel primo giorno del congresso a Verona non è stata la famiglia, ma la libertà di espressione, la libertà di poter parlare pubblicamente di famiglia, la libertà di poter affermare che la famiglia è una sola, quella fondata sull’unione tra un uomo e una donna aperta alla vita. Il clima era così surreale che in difesa della libertà in mattinata ha fatto la sua comparsa a sorpresa l’irriverente Giuseppe Cruciani, non certo un custode dell’ortodossia cattolica: «Io non sono uno di voi, non ho una famiglia tradizionale, penso anche che esistano tanti tipi di famiglia; mi sono battuto per anni per cose che voi probabilmente avversate: il matrimonio tra omosessuali, l’aborto, il divorzio, persino per l’utero in affitto, ma mi sento uno di voi oggi perché molti vorrebbero spegnere questo microfono da cui io sto parlando adesso. Abbiamo assistito ad una vera e propria campagna di criminalizzazione di quello che è un convegno, un incontro tra persone che parlano, che esprimono i loro pensieri. Qualcuno ha compilato addirittura una lista degli alberghi di cui siete ospiti per boicottarla, qualcuno ha detto che bisogna fare la lista dei traduttori come fossero criminali. Vedete io mi sono formato in un ambiente radicale, dei Radicali, e mi hanno insegnato una cosa: quando vuoi combattere un’idea la cosa peggiore che puoi fare è proibirla. La conclusione è semplice: ovunque cercheranno di vietare a voi di esprimere le vostre opinioni, io a quel punto sarò uno di voi, pur non condividendo nulla di quello che voi dite o pensate».
Parole a cui hanno fatto eco poco dopo quelle della giornalista Maria Giovanna Maglie che ha ricordato le sue battaglie femministe ma poi ha spiegato: «Che ci sarebbe stata polemica io lo sapevo dall’inizio, ma non immaginavo di sentire attacchi così violenti e bugie così palesi. C’è una grande volontà di espulsione della libertà di espressione. Alcuni di voi sostengono idee ultra tradizionaliste che io personalmente ritengo poco replicabili oggi, ma tra queste non rientra il diritto di una donna di avere figli pur realizzando il proprio sogno di lavoro e anche quella di avere figli e realizzarsi per scelta a casa per la famiglia, non è una bestemmia. Se io penso che l’utero in affitto sia un disgustoso mercimonio – e lo penso – perché devo dirlo a voce bassa o immediatamente faccio parte dei beghini e degli antistorici? Non ci sto»
E non ci stanno nemmeno i convegnisti giunti da tutta Italia e da diversi paesi del mondo che esplodono in un applauso fragoroso quando il vescovo della città Giuseppe Zenti afferma che «ogni figlio ha il diritto di nascere da un papà e da una mamma». Come fossero tutti lì semplicemente a testimoniare di voler solo difendere un principio di realtà. Così ha continuato Zenti: «Papà e mamma sono chiamati a prendersi cura del figlio come nessun altro poiché è di loro primariamente che un figlio ha necessità vitale, del loro amore fedele, della loro presenza, di sentirsi qualcuno ai loro occhi, ai fini del senso stesso del suo vivere. Un figlio è sempre un grido esistenziale all’unità del papà e della mamma». Anche se il mondo non vuole sentirselo dire.