Pubblichiamo la prefazione al libro di Brant Pitre, I segreti dell’Ultima Cena, Il Timone, pag. 224, € 22,00, in libreria dal 15 ottobre
di Scott Hahn
Allo scadere dei duemila anni, ci sembra naturale considerare la crocifissione di Gesù come un sacrificio. I cristiani ereditano una lunga tradizione in cui se ne parla, si prega e si pensa tale evento da questa prospettiva. Ma gli ebrei del I secolo che ne furono testimoni non avrebbero né voluto né potuto interpretare la crocifissione come un sacrificio. Esso non portava nessuno dei segni del sacrificio nel mondo antico. Sul Calvario non c’era altare e nessun sacerdote riconosciuto. C’è stata sì una morte, ma è avvenuta al di fuori del Tempio, l’unico luogo di sacrificio valido nell’ebraismo, e anche fuori le mura della Città Santa.
San Paolo, tuttavia, ha formulato i nessi per la sua generazione, e specialmente per gli ebrei. Nella Prima Lettera ai Corinzi, dopo aver introdotto la parola della croce (1,18), chiama Cristo «nostro agnello pasquale» che «è stato immolato» (5,7). Così l’Apostolo collega la Pasqua celebrata come Ultima Cena e la crocifissione sul Calvario.
Fu proprio quella prima Eucaristia a trasformare la morte di Gesù da un’esecuzione in un’offerta. Nell’Ultima Cena Cristo ha offerto il suo corpo da spezzare, il suo sangue da versare, come su un altare. Ricapitolando la storia dell’Ultima Cena (1Cor 11,23–25), Paolo descrive l’evento in termini sacrificali. Cita Gesù definendolo “la nuova alleanza nel mio sangue”, un’evocazione delle parole di Mosè mentre faceva un’offerta sacrificale di buoi: “Ecco il sangue dell’alleanza” (Es 24:8). E’ il sangue sacrificale che sancisce l’alleanza, perché lo disse Mosè e perché lo ha detto Gesù. Paolo cita anche Gesù definendo la Cena come “in memoria”, un’altra espressione tecnica per un tipo specifico di sacrificio del Tempio (l’offerta commemorativa). E proprio nel caso avessimo perso qualcuno di questi collegamenti, Paolo paragona la Cena cristiana (l’Eucaristia) con i sacrifici del Tempio (1Cor 10,18) e persino con i sacrifici pagani (1Cor 10,19–21). Tutti i sacrifici, egli sostiene, realizzano una comunione, una fratellanza. Le offerte di idolatria realizzano una comunione con i demoni, ma il sacrificio cristiano realizza una comunione con il corpo e il sangue di Gesù (1Cor 10,16).
L’interpretazione della Passione da parte di Paolo è sbalorditiva. Egli ci mostra che non si tratta solo di quanto Gesù abbia sofferto, ma di quanto ama. L’amore trasforma la sofferenza in sacrificio. La morte sul Calvario non è stata semplicemente un’esecuzione brutale e sanguinosa. La morte di Gesù è stata trasformata dalla offerta di sé nel Cenacolo. È diventata l’offerta di una vittima pasquale senza macchia, l’offerta di sé di un sommo sacerdote che si è donato per la redenzione degli altri. Ed egli è sia sacerdote che vittima. Perché «Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,2). Questo è l’amore: il dono totale di sé.
L’Eucaristia infonde quell’amore in noi, unendo il nostro amore a quello di Cristo, il nostro sacrificio col suo. San Paolo predicava: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Si noti che parla di “corpi” al plurale, ma di “sacrificio” al singolare. Perché siamo molti, ma il nostro sacrificio è uno con quello di Gesù, che è una volta per sempre (cfr. Ebrei 7:27, 9:12, 9:26, 10:10). Paolo ci insegna che l’Eucaristia è ordinata alla croce, e la croce è ordinata alla risurrezione. È l’umanità crocifissa e risorta di Gesù che i cristiani consumano nella Santa Comunione. Ci arriviamo attraverso la sofferenza, ma riceviamo l’Ostia come pegno di gloria eterna, e abbiamo la grazia di sopportare il resto.
Questo è qualcosa che non possiamo apprezzare pienamente fino a quando non avremo imparato a vederlo “Come era nel principio”, come lo fu per quei primi ebrei cristiani, che videro finire un mondo vecchio a loro familiare in favore di un nuovo mondo, disceso come una Gerusalemme celeste. Questo bellissimo libro ci dà tutto ciò di cui abbiamo bisogno per apprezzare ciò che era, in modo che possiamo vedere, sempre più chiaramente, ciò che è “e ora e sempre, nei secoli dei secoli”.
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