A fronte di una crisi demografica senza precedenti, divenuta ormai endemica in Europa, si continua ad adottare misure che, anziché incrementare la crescita della popolazione, ne promuovono decisamente la decrescita. Pensiamo alla Risoluzione adottata giovedì 11 aprile dal Parlamento Europeo, con cui si invita il Consiglio europeo a modificare l’articolo 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea inserendovi un nuovo “diritto all’aborto”.
Una decisione che arriva a ridosso della tristemente storica votazione, con cui agli inizi di marzo, la Francia, ha sancito l’inclusione di questo “diritto” nell’art. 34 della Costituzione. Uno “scempio etico e giuridico” l’ha definito Toni Brandi, presidente dell’associazione Pro Vita &Famiglia che sta portando avanti una serie di iniziative che, al contrario, affermano la dignità giuridica del concepito, anche attraverso le numerose conferenze che si stanno, ormai da tempo, svolgendo in varie città italiane, tra cui Bari, il prossimo 15 maggio, presso Palazzo di città e che tra i prestigiosi relatori, annovera anche l’avvocato Pantaleo Binetti del Centro Studi Livatino.
All’avvocato Binetti Il Timone ha rivolto alcune domande.
Recentemente sono stati depositati 3 ddl in Parlamento a firma dei senatori Menia (FdI), Gasparri (FI) e Romeo (Lega) che propone di riconoscere la capacità giuridica e l’umanità dei bambini nel grembo materno, attraverso la modifica dell’articolo 1 del codice civile che recita: “La capacità giuridica si acquista al momento della nascita”. Gli abortisti si sono stracciati le vesti, accusando i pro life di voler portare indietro le lancette della storia. È così?
«Il principio di tutela del concepito è elemento essenziale di una tradizione culturale millenaria anche precristiana. I motivi, concernenti non solo la famiglia e i genitori, ma anche la società sono spiegati da diversi giuristi romani. Ad esempio nei suoi Digesta il giurista Ulpiano scriveva: “Non dubitiamo che il pretore debba venire in aiuto anche del concepito, tanto più che la sua causa è più da favorirsi che quella del fanciullo: il concepito infatti è favorito affinché venga alla luce, il fanciullo affinché sia introdotto nella famiglia; questo concepito infatti si deve alimentare perché nasce non solo per il genitore, cui si dice appartenere, ma anche per la res publica”.
I principi espressi a suo tempo dal diritto romano hanno trovato espressione anche in importanti atti internazionali, come ad esempio la convenzione sui diritti del fanciullo approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, stipulata a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991 n. 176, nel cui preambolo si afferma che: “come indicato nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale necessita di una protezione di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita”.
Tutto ciò sta a dimostrare che sin dai tempi più antichi si è sempre avvertita l’esigenza che la normativa sia innanzitutto strumento per proteggere la vita, anziché sopprimerla».
Davvero è in pericolo la 194 come dicono alcuni?
«Sicuramente no. Chi afferma ciò o è in malafede o non ha letto assolutamente la normativa. In realtà è in atto una sensibilizzazione per applicare la 194 anche nei sui aspetti di tutela della maternità intesa come offerta di alternative all’interruzione di gravidanza, contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna ad una scelta così irreversibile, come prevede appunto anche la normativa stessa».
Lo scorso 4 marzo la Francia ha dichiarato l’aborto “diritto costituzionale”. Di contro è configurabile un diritto alla nascita? E un diritto a non nascere?
«In Italia la Corte di Cassazione civile con un pronunciamento del 2004 afferma che l’ordinamento positivo tutela il concepito e l’evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita, e non anche verso la “non nascita”, nel senso che debbono venire ad essere predisposti tutti gli istituti normativi e tutte le strutture di tutela cura e assistenza della maternità idonei a garantire (nell’ambito delle umane possibilità) al concepito di nascere sano.
Non è invece in capo a quest’ultimo configurabile un “diritto a non nascere” o a “non nascere se non sano”, come si desume dal combinato disposto di cui agli art. 4 e 6 della legge n. 194 del 1978, in base al quale si evince che: a) l’interruzione volontaria della gravidanza è finalizzata solo ad evitare un pericolo per la salute della gestante, serio (entro i primi 90 giorni di gravidanza) o grave (successivamente a tale termine); b) trattasi di un diritto il cui esercizio compete esclusivamente alla madre; c) le eventuali malformazioni o anomalie del feto rilevano esclusivamente nella misura in cui possano cagionare un danno alla salute della gestante, e non già in sé e per sé considerate».
Si sta cercando semplicemente di difendere chi non può difendersi? Possiamo dire dunque che è una battaglia di ragione e non confessionale?
«È evidente che il soggetto debole è sempre il bambino nel grembo materno. La graduale sostituzione del diritto naturale, cioè emanazione della realtà fattuale, con il diritto positivo ha prodotto un’accezione moderna di uomo utile solo in quanto capace di autodeterminarsi, soggetto ontologicamente sempre più astratto e impersonale. È nel secolo scorso che questo processo ha conosciuto delle accelerazioni che hanno rappresentato un punto di non ritorno, poiché, come insegna Cicerone, senza l’aggancio ad una norma naturale non si può distinguere una legge buona da una cattiva.
Infatti, mentre nel diritto romano il concetto di homo e di persona, con la dignità che ne consegue, è valore universale preesistente ad ogni norma positiva e, come tale, riconosciuto nella sua concretezza e sacralità al tempo stesso, oggi la persona è stata ridotta ad oggetto fluido e manipolabile più “oggetto” che “soggetto” di diritti e l’aborto ne è il caso emblematico.
Per questo ricordo un breve ma significativo pensiero di Norberto Bobbio che riteneva che «il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere», aggiungendo: «mi stupisco che i laici lascino ai credenti l’onore di affermare che non si deve uccidere».
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