Come sono nati i primi uomini? Com’è stato possibile che un uomo e una donna siano entrati nel mondo nello stesso momento e abbiano potuto dare inizio all’umanità? E, soprattutto, è possibile che ipotesi e teorie elaborate per rispondere a questi quesiti possano mostrarsi compatibili con la dottrina cristiana?
Il medico cattolico francese Jérôme Lejeune, noto per aver scoperto l’origine genetica della sindrome di Down, propose un’ipotesi in tal senso, pubblicata sulla Nouvelle Revue Théologique dell’Università di Lovanio nel febbraio 1968, e che, posta a giudizio di altri esperti in materia, fu valutata come «tecnicamente infattibile».
A parlare di questo aspetto poco conosciuto delle ricerche di Lejeune è il giornalista José Javier Esparza, in un libro (foto a fianco) di recente uscita, Jérôme Lejeune: Luchar, amar, curar (Libros Libres), ancora non disponibile in lingua italiana.
L’IPOTESI ADAMICA
Dunque, come si è passati dalle scimmie agli uomini? Com’è possibile colmare questo scarto che non è quantitativo, bensì qualitativo?
«Jérôme Lejeune», scrive Esparza in un capitolo del suo libro riportato integralmente da Religion en Libertad, «ha un’idea: perché non un’improvvisa apparizione dell’uomo? Perché non un salto qualitativo nei cromosomi delle grandi scimmie? Niente in paleontologia lo contraddice. Nulla nella genetica lo nega. E d’altra parte, l’ipotesi è compatibile con la spiegazione religiosa dell’origine della Creazione come dettagliata in Genesi. Occhio: Lejeune sa che non sta formulando una teoria scientifica, ma una semplice ipotesi. Ma sa anche che si tratta di un’ipotesi ragionevole».
Lejeune si trova così a definire quella che poi chiama «l’ipotesi di Adamo», che prende le mosse da alcuni studi realizzati dal genetista su anomalie cromosomiche a livello della sessualità che hanno colpito tanto gli uomini, quanto altre specie animali. «A quel tempo», prosegue Esparza, «Lejeune studiò un caso estremamente raro ma incontestabile, che era quello dei gemelli monozigoti, entrambi nati dalla fecondazione dello stesso ovulo dallo stesso sperma, ma che, a seguito di un incidente precoce, arrivarono a formare una straordinaria coppia di gemelli vero-falso, un ragazzo e una ragazza. La spiegazione scientifica del fenomeno era relativamente semplice. Non è così eccezionale, infatti, che un cromosoma, nella prima divisione cellulare dopo la fecondazione, venga perso. Tale era il caso di quei gemelli. Uno dei due ha continuato la sua normale evoluzione, ma l’altro, amputato il suo cromosoma Y, è stato ridotto solo alla X della femminilità, ma isolato, senza il suo corrispondente partner X. Improvvisamente, non era più l’uomo che avrebbe dovuto essere, né la donna che poteva essere. Nonostante un aspetto femminile, la maggior parte dei casi studiati non presentava un sistema sessuale femminile. Era una forte anomalia per la quale non c’era rimedio». Nei topi, però, questo handicap in alcuni casi era stato superato: e se fosse successo così anche negli uomini, si domanda Lejeune?
A questo punto sorge tuttavia un altro interrogativo: come dare un partner all’individuo nato da questa alterazione genetica, posto che incrociare specie anche molto simili (come l’asino e il cavallo) genera esseri sterili? «Esiste», si legge ancora nel libro, «davvero un solo modo: l’apparizione di una di quelle famose coppie di falsi gemelli, in cui la femmina, contro ogni aspettativa, ma non contro ogni possibilità […], sarebbe stata fecondata. Da lì, la probabilità che si riproducano, diano alla luce bambini vitali, fertili tra loro, portatori di un nuovo patrimonio genetico sì, ma normale, e che quindi può essere trasmesso alla generazione successiva. Questo sarebbe il “monogenismo”: il principio della coppia primordiale, noto a tutte le mitologie e a tutte le religioni del mondo. Nella sfera giudaico-cristiana, la storia di Adamo ed Eva».
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