Diversamente da quanto si pensa, combattere a difesa della famiglia non comporta, oggi, per forza una sconfitta. Si può anche vincere. Oppure può capitare di conseguire parziali ma comunque significativi successi. Ne sanno qualcosa di pro family ungheresi in quali, nei giorni scorsi, hanno fatto fare una retromarcia nientemeno che ad un colosso come la Coca-Cola, già pronta a lanciare una micidiale campagna Lgbt.
Sì, perché in occasione del Sziget Festival 2019 – una kermesse musicale che si tiene sulla Óbudai-sziget a Budapest, in Ungheria appunto, e che quest’anno ha avuto luogo dal 7 al 13 agosto scorso – la casa produttrice della più famosa bevanda del pianeta aveva già pronta una serie di manifesti con immagini di coppie omosessuali innamorate ed incorniciate con l’immancabile slogan obamiano «Love is love». Una vera e propria opera di propaganda arcobaleno rispetto alla quale molti ungheresi hanno manifestato dissenso.
Basti pensare che in pochi giorni la petizione di protesta promossa da CitizenGo ha totalizzato e superato le 41.000 adesioni. Un boom, non c’è che dire. Ma non finisce qui. Infatti anche il mondo politico ungherese ha alzato la voce. Lo ha fatto in particolare Boldog István, vicepresidente di Fidesz, il partito politico del primo ministro ungherese Viktor Orbán, il quale il 4 agosto, su Facebook, ha esortato al boicottaggio della Coca-Cola finché «i suoi manifesti provocatori non verranno rimossi dall’Ungheria».
Alcuni cittadini hanno anche organizzato una manifestazione di protesta direttamente a Dunaharaszti, cittadina di poco meno di 20.000 anime nella provincia di Pest, Ungheria settentrionale, dove ha sede lo stabilimento ungherese della multinazionale. Morale: la Coca-Cola ha fatto un passo indietro sostituendo i manifesti che aveva inizialmente programmato con altri, nei quali compare comunque lo slogan «Love is love» ma senza l’immagine di alcuna coppia omosessuale o lesbica.
I pro family hanno dunque raggiunto quella che loro stessi, con realismo, hanno definito una «vittoria parziale»: parziale perché, come detto, essa si è concretizzata non nella rimozione di manifesti propagandistici Lgbt ma solo in una loro rimodulazione in versione più moderata degli stessi; vittoria, perché ad aver fatto un passo indietro non è stata un’associazione o una realtà di poco conto, ma un colosso che vanta il marchio più celebre e costoso del pianeta e il cui patrimonio ammonta a svariate decine di miliardi di dollari.
Oltretutto, si tratta di un gigante, la Coca-Cola, che non da oggi finanzia campagne pubblicitarie ostili, o quanto meno non certo favorevoli, alla famiglia. Gli studiosi di comunicazione possono infatti ricordare come negli anni ‘50 del secolo scorso vi fu una singolare corrispondenza tra l’inizio del calo demografico statunitense – con i nuclei familiari numerosi del Dopoguerra che iniziavano a cedere la scena a quelli con al massimo due figli -, e le campagne pubblicitarie di allora della celebre bevanda dolce e gasata, che presero a ritrarre coppie con al massimo due figli.
Rammentando questo non si vuole, si badi, addossare alle sole pubblicità – di allora come di oggi – la responsabilità di cambiamenti o stravolgimenti culturali che hanno evidentemente molteplici cause. Tuttavia, considerando questo e il già ricordato ed immenso potere economico della Coca-Cola, non si può che considerare «vittoria parziale» dei pro family ungheresi come un traguardo comunque importante e significativo. Che testimonia che chi lotta può perdere, ma anche ottenere insperati successi. Mentre invece chi si arrende, o crede una sfida impossibile, ha già perso in partenza.
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