Sono passati dieci anni dall’attentato alla sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo ad opera di un commando terrorista. Erano circa le 11 e 30, i due attentatori, nati in Francia, entrarono armati di Kalašnikov e al grido di «Allah è grande» causarono dodici vittime: decimata la redazione della rivista, tra loro il direttore Charb, Cabu, Tignous, Honoré e Wolinski, fumettisti della testata. Era il 7 gennaio, in rue Nicolas Appert, nel cuore di Parigi. Il numero in uscita oggi è uno speciale dedicato all’anniversario del tragico evento.
«Parallelamente», leggiamo su Rainews, «si terranno commemorazioni ufficiali con il presidente Emmanuel Macron e con la sindaca di Parigi Anne Hidalgo. Una manifestazione è attesa alle 11.30, orario dell’attacco del 2015, sotto la statua della Marianne a Place de la Republique, dove 10 anni fa con lo slogan “Je suis Charlie” 2 milioni di persone si riversarono con le matite in alto l’11 gennaio per la manifestazione più grande mai registrata in Francia». Rivendicato dalla branca yemenita di Al-Qaida, è il quarto attentato per numero di vittime su territorio francese. Per le dodici persone che hanno perso la vita e le undici persone rimaste ferite corre l’obbligo morale della pietà e, per chi crede, della preghiera.
Non si può, però, anzi non si deve rinunciare alla lucidità di giudizio rispetto alla condotta del giornale, tenuta sia allora sia ostinatamente anche oggi, rispetto a tutto ciò che è sacro. Una linea editoriale e di pensiero rivendicata come intoccabile esercizio di libertà dai sostenitori di un laicismo sregolato e prepotente. Il che non significa affatto giustificare l’azione terroristica: il fatto che le tre grandi religioni monoteiste siano da sempre oggetto di satira e di totale mancanza di rispetto da parte della rivista non può essere considerato in nessun caso causa ragionevole di un’azione intrinsecamente abominevole.
In questo, va riconosciuto, i redattori di Charlie Hebdo sono piuttosto democratici anche se, quando oggetto di irrisione feroce non sono i simboli islamici ma le persone e i significati più cari alla fede cattolica, i timori per l’incolumità dei giornalisti non sussistono, grazie a Dio; ne abbiamo parlato anche sulle nostre pagine quando abbiamo riferito della vignetta dedicata alla Vergine Maria con il viso deturpato dalle bolle del vaiolo, pubblicata il giorno dopo la festa dell’Assunzione. Il fumettista ha giocato sul termine “apparizione” e ha corredato le immagini già di per sé insultanti con offese ed epiteti irripetibili.
E questa sarebbe libertà? Colpire con crudeltà e volgarità ciò che per milioni di persone nel mondo, compresa una considerevole porzione dei loro concittadini francesi, è oggetto di venerazione e amore? A che pro? Se è vero che incombe la reale minaccia del radicalismo islamista, la strategia da seguire non è certo quella di abdicare alla propria identità e lasciarsi sottomettere, come mostra senza eufemismi lo scrittore francese Houellebecq nel romanzo fantapolitico Sottomissione; così come la strada da imboccare non è quella del disprezzo senza limiti nei confronti di tutto ciò che è sacro e religioso, a qualsiasi fede appartenga.
Come ha ricordato sul Timone (qui per abbonarsi) l’intellettuale cattolico Jean Sévillia, che collabora anche con Le Figaro, «esiste un’offensiva dell’islamismo radicale» con la quale dobbiamo fare i conti senza buonismi, ma non è giusto per questo approvare automaticamente «la “linea Charlie”. La libertà di fare caricature e ironie deve essere accompagnata dalla responsabilità. Al contrario, il discorso di Macron sulla “libera bestemmia” ha fatto credere che la filosofia blasfema e provocatoria del settimanale sia quasi la linea ufficiale della Francia. E questo ha contribuito a esacerbare gli animi di molti musulmani. Lo stesso professor Samuel Paty, decapitato sempre per la questione delle caricature mostrate a scuola, è una vittima, non certo un colpevole. Però, da cattolico, non approvo oscenità e irrisione verso nessuna religione».
L’islamismo radicale e fondamentalista non è tutto l’Islam e nemmeno il vero Islam con il quale è possibile e anzi va perseguito in ogni modo ogni dialogo possibile; ma va fatto in nome della ragione, quella che riconosce il bello, il buono e il vero e anche la sua intrinseca insufficienza a comprendere l’interezza del reale e per questo resta pacificamente aperta al mistero. Servirebbe oggi, come non mai, che reimparassimo la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, quando con la chiarezza cristallina che contraddistingue il suo pensiero, ha riportato al centro proprio la capacità umana di riconoscere – non di decidere arbitrariamente – ciò che è vero, buono e bello e di confidare nel vincolo che Dio stesso ha stabilito con tutto ciò che è ragionevole.
Anche in quel caso le reazioni violente ci furono, ma non hanno impedito che il cammino del dialogo teologico e culturale riprendesse e forse addirittura in modo più spedito. Difendiamo pure con forza la libertà di espressione, dunque, ma prima di rispolverare con troppa disinvoltura vecchi Je Suis, conviene recuperare la consapevolezza della statura umana, della vocazione che tutti ci accomuna e allora, forse, più che stracciarci le vesti o scarabocchiare cose coi gessetti sulle vecchie strade d’Europa – magari con il sottofondo di Imagine di Lennon – tornerà la voglia di puntare in alto, di cercare vie di vera fratellanza e di far capire ai fumettisti satirici che insultare tutto ciò che è religioso non è indizio di grandissima intelligenza. (Fonte foto: Ansa)
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