L’arcivescovo di Filadelfia, nonché membro del Consiglio permanente del Sinodo dei Vescovi, Charles Chaput, ha espresso forti critiche al documento Instrumentum Laboris (IL), pubblicato in vista dell’ormai prossimo Sinodo dei vescovi sul tema Giovani, fede e discernimento vocazionale. Con la pubblicazione di un lungo e argomentato articolo pubblicato su First Things, che Chaput afferma di aver ricevuto da «un rispettato teologo nordamericano» e che si augura possano essere prese in considerazione e discusse a diversi livelli, vengono infatti poste in evidenza le cinque «principali difficoltà teologiche» di IL.
Il naturalismo
Innanzitutto l’approccio naturalistico, che pare prendere il sopravvento laddove «IL mostra un’attenzione pervasiva su elementi socio-culturali, con l’esclusione di questioni religiose e morali più profonde. Sebbene il documento esprima il desiderio di rileggere realtà concrete alla luce della fede e dell’esperienza della Chiesa (§ 4), purtroppo non riesce a farlo».
Per fare qualche esempio: in IL si parla di sesso precoce, promiscuità, pornografia e altri costumi oggi largamente diffusi senza tuttavia arrivare ad avanzare una lettura rispetto alla deturpazione dell’anima conseguente a certe azioni, oppure a proporre che i desideri dei giovani debbano «essere trasformati dalla grazia in una vita conforme alla volontà di Dio», nella certezza – anche questa assente in IL – che «esiste un Dio, che li ama [i giovani, ndR], e che vuole il loro bene eterno». Allo stesso, il documento nega la speranza evangelica e il ruolo della Provvidenza, oltre ad annullare ogni discussione sulla Croce e sul valore salvifico della sofferenza e della Provvidenza.
«Questo naturalismo», prosegue ancora il teologo, «è anche evidenziato nella preoccupazione del documento con le seguenti considerazioni: globalizzazione (§ 10); difendere il ruolo della Chiesa nella creazione di “cittadini responsabili” anziché di santi (§147) e preparare i giovani al loro ruolo nella società (§135); obiettivi secolari per l’istruzione (§149); promuovere la sostenibilità e altri obiettivi secolari (§152-154); promuovere “l’impegno sociale e politico” come una “vera vocazione” (§156); incoraggiamento del “networking” come ruolo della Chiesa».
Una comprensione inadeguata dell’autorità spirituale della Chiesa
Il documento pare poi affermare che «il ruolo principale della Chiesa magistrale sia quello di “ascoltare”». In sostanza, IL nega quindi l’autorità della Chiesa e fa passare un messaggio per cui essa «non possiede la verità, ma deve prendere posizione accanto ad altre voci. Coloro che hanno ricoperto il ruolo di insegnante e predicatore nella Chiesa devono sostituire la loro autorità con il dialogo».
Così affermando, tuttavia, si apre la porta a problemi teologici non secondari (quali la confusione tra il sacerdozio battesimale e sacramentale e una conseguente deriva luterana), nonché a difficoltà a livello pastorale, soprattutto alla luce del fatto che con i giovani non si può abdicare a un ruolo di guida e di insegnamento.
Una parziale antropologia teologica
Un altro aspetto problematico interessa quindi la visione della persona che viene proposta in IL. Infatti, essa «viene ridotta in numerosi luoghi a “intelletto e desiderio”, “ragione e affettività” (§147). La Chiesa, tuttavia, insegna che l’uomo, creato a immagine di Dio, possiede un intelletto e una volontà, pur condividendo con il resto del regno animale un corpo, con il suo affetto. È la volontà che è fondamentalmente diretta verso il bene».
Se si esclude la volontà, viene di conseguenza meno ogni possibilità di vita morale.
Una concezione relativistica della vocazione
Arriviamo quindi al tema della vocazione, già così equivocato nel mondo moderno. Nell’intero documento la vocazione pare essere ridotta a una «ricerca individuale del senso e della verità particolari». Si cade così nel relativismo e si rinuncia a proporre il fatto che solo in Dio vi è la Verità: ognuno faccia per sé, la Chiesa ha il mero compito di accompagnare.
Una comprensione impoverita della gioia cristiana
Infine, un ultimo appunto viene mosso al fatto che «la spiritualità cristiana e la vita morale si riducono alla dimensione affettiva, […] evidenziata da una concezione sentimentale della “gioia”». Gioia che non viene mai proposta quale «frutto della virtù teologale della carità. Né la carità è caratterizzata come il giusto ordine dell’amore, mettendo Dio al primo posto e poi ordinando tutti gli altri amori con riferimento a Dio».
La conseguenza teologica di tale impostazione è l’annullamento della Croce, che invece mostra chiaramente come la gioia cristiana (lungi dall’essere uno sterile sentimentalismo) e la sofferenza non siano l’una opposta all’altra.
Conclusioni
Ad ogni modo, gli aspetti problematici di IL, secondo l’autore del testo, non si limitano a quelli appena citati: «Vi sono altre serie preoccupazioni teologiche nell’IL, tra cui: una falsa comprensione della coscienza e il suo ruolo nella vita morale; una falsa dicotomia proposta tra verità e libertà; una falsa equivalenza tra dialogo con i giovani LGBT e dialogo ecumenico; e un trattamento insufficiente dello scandalo degli abusi».
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