Che sul piano dottrinale e teologico i cristiani degli Usa, cattolici soprattutto, non se la passassero bene era cosa già abbastanza nota. Basti pensare a quanto messo in luce esattamente un anno fa da What Americans Know About Religion, «Cosa sanno gli americani della religione», un rapporto del Pew Research Center che aveva riscontrato come appena un terzo dei cattolici americani creda che la comunione sia il Corpo e Sangue di Cristo. Una certa confusione tra i fedeli, anche assai grave, era insomma già nota in casa americana.
Ciò tuttavia non attenua lo stupore per quanto contenuto in American Worldview Inventory 2020, un sondaggio annuale a cura dell’Arizona Christian University con cui è stato considerato un campione rappresentativo di 2.000 adulti e dal quale è emerso un esito che è difficile non definire sconvolgente. Sì, perché, tra i vari dati di questa rilevazione demoscopica, uno su tutti sta attirando l’attenzione degli osservatori Usa, ossia quello secondo cui meno della metà dei cristiani americani (46%) collega la salvezza eterna alla confessione del peccato e alla accettazione di Cristo come loro Salvatore, con la maggior parte che invece credono che, per candidarsi al Paradiso, servano anzitutto le opere concrete.
Una visione delle cose evidentemente non cristiana ma, soprattutto, non cattolica. Eppure tale prospettiva – e qui sta la notizia più drammatica di questa ricerca – sembra proprio essere diffusa tra i cattolici, essendo condivisa da circa la metà di tutti gli adulti affiliati alle chiese pentecostali (46%), protestanti (44%) ed evangeliche (41%) con però una percentuale elevatissima, appunto, tra i cattolici (70%). Uno scenario che ha colto di sorpresa, tanto è grave, persino gli autori di questo studio, con Len Munsil, che dell’Arizona Christian University è il presidente, il quale ha affermato che tra battezzati Usa «la mancanza di comprensione della teologia cristiana di base è sbalorditiva».
Difficile, in effetti, non provare stupore dinnanzi a tanta ignoranza dottrinale. Una ignoranza per la quale, inutile nasconderlo, ci sono evidentemente grosse responsabilità ecclesiali, con pastori che non da oggi hanno concentrato la loro attenzione e le loro migliori energie su un piano meramente sociale, per non dire sociologico, trascurando i fondamentali della formazione cristiana; e i risultati, ahinoi, si vedono.
D’accordo, ma se questa è la sconfortantissima situazione americana, com’è quella italiana? Purtroppo (o per fortuna), da noi non esiste una cultura della ricerca sociale empirica radicata come negli Usa. Dunque dati recenti non ne abbiamo, rispetto alla considerazione del sacramento della Riconciliazione. Anche se le code che da anni non si vedono, per usare un eufemismo, fuori dai confessionali, non fanno ben sperare, alimentando il sospetto che pure in Italia la conoscenza dell’Abc dottrinale, tra i fedeli, sia scarsa.
A tal riguardo, continua a far riflettere quanto emerse tramite uno studio effettuato nel 2007 da Famiglia Cristiana su oltre 800 battezzati aventi un’età media di 48 anni, quindi fedeli maturi, almeno anagraficamente. In breve, allora si scoprì che solo il 5% dei cattolici praticanti aveva letto i vangeli (figurarsi i non praticanti) e alla domanda «come si può coltivare la spiritualità?» il 63% rispose «aiutando il prossimo» e il 35% «facendo volontariato», mentre molti meno risposero «pregando» (22%) e «andando a Messa» (14%). C’è da sperare che quei dati fossero poco attendibili, chiaramente. Perché altrimenti la pur disastrosa situazione americana potrebbe davvero assomigliare molto a quella riscontrabile nell’Italia culla del cattolicesimo. Staremo a vedere quello che rivelerà, quando verrà eseguita da noi, una nuova ricerca sulla conoscenza religiosa tra i fedeli. Anche se i presagi, inutile nasconderlo, non son affatto dei più felici.
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