Con la seconda serrata della Francia, che durerà almeno fino al 1 dicembre, i cittadini non possono allontanarsi più di un chilometro dalle loro case, tranne per le ormai note ragioni di lavoro, salute o urgenze. Gran parte delle attività commerciali cosiddette “non essenziali”, compresi ristoranti e affini, sono chiusi, così come accade in Italia nelle cosiddette “zone rosse”. Anche Oltralpe, come dai noi, non mancano le contraddizioni, tra gli esercizi rimasti aperti c’è per esempio la Fnac leader nella distribuzione di libri e tecnologia, che in Francia conta oltre 69 negozi, invece sono state sospese le Messe.
A nulla è servito l’appello dell’episcopato francese per poter continuare ad esercitare il culto, appello che è stato respinto lo scorso sabato dal Consiglio di Stato. Dura la replica dei vescovi che «deplorano soprattutto che i fedeli rimangano così impossibilitati a partecipare alla messa, vertice della vita di fede e incontro insostituibile con Dio e i fratelli», poi sottolineano che «le chiese rimangono aperte, che sono luoghi che devono essere vissuti e dove si può venire a meditare, pregare, adorare il Signore e ricevere i sacramenti come quello della Riconciliazione». In questo braccio di ferro con il Governo i vescovi sono riusciti solo ad ottenere che i sacerdoti possano continuare a ricevere i fedeli e ad andare nelle loro case così come negli istituti di cui sono cappellani e che chiunque possa recarsi in una chiesa senza alcuna condizione di distanza barrando, nell’ormai famigerata autocertificazione la casella “convincente motivo familiare”. La speranza dell’episcopato, hanno scritto in un comunicato, è che il 16 di novembre la decisione possa essere rivista.
Ma questo non ha fermato i fedeli, che lo scorso fine settimana sono usciti di casa e sfidando le misure in vigore, per radunarsi all’esterno delle chiese e silenziosamente si sono messi a pregare manifestando il diritto di culto in un Paese dilaniato, nelle scorse settimane, da attentati terroristici di matrice islamica. Da Nantes a Versailles, i cattolici di Francia hanno mostrato che non sono disposti a subire silenziosamente una disposizione che lede quello che hanno più caro. Non solo, qualcuno ha voluto anche condividere sui social il proprio gesto, mostrando la volontà di non sottostare ad una norma ingiusta, e c’è chi ha lanciato l’hashtag #oursoulsmetter ovvero «le nostre anime contano». Anche qualche vescovo si spinge oltre, cercando pertugi di libertà nel burocratese dei testi che regolamentano le restrizioni, come il vescovo di Bayonne, Monsignor Marc Aillet che scrive: «Nulla impedisce ai sacerdoti di celebrare la Messa in luoghi di culto che rimangono aperti e nulla impedisce ai fedeli di entrare individualmente nelle chiese. È l’organizzazione delle cerimonie religiose che viene sospesa…»
Nella terra delle liberté i cattolici rialzano la testa, scendono in piazza, e si fanno sentire. Come a dire che la libertà di coscienza non ha a che fare con quello che la legge consente, ma è un moto del cuore che muove quando in gioco c’è quello a cui non si può rinunciare.
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