Cosa succederebbe se il cattolicesimo venisse definitivamente abbandonato quale pratica di fede e le chiese, la liturgia e l’estetica cattolica venissero riprese con mero gusto estetizzante?
Se lo domandava Marcel Proust nel 1904, in un saggio pubblicato su Le Figaro, tornato alla mente dell’opinionista Ross Douthat guardando – scrive sul New York Times – «lo spettacolo bellissimo e blasfemo al Met Gala di lunedì sera, dove una sfilata di star e fashionistas si è mossa in costumi ispirati all’estetica del cattolicesimo, mentre un’ampia varietà di articoli genuinamente cattolici, dai paramenti ai diademi, sono stati esposti nella mostra intitolata “Corpi celesti: la moda e l’immaginazione cattolica”».
Peccato che oggi, continua Douthat, a differenza dell’ipotesi formulata da Proust, il cattolicesimo sia ancora una religione viva, che non merita di essere trattata come «un pezzo da museo», nonostante la compiacenza di una parte della gerarchia ecclesiastica nei confronti dell’iniziativa svoltasi a New York.
Come mai si è arrivati a questo? Per il giornalista la radice va ricercata nel periodo seguente il Concilio Vaticano II, quando «fu la leadership della chiesa a decidere […] che l’attaccamento alla chiesa come cultura era diventato un impedimento alla missione di predicare il Vangelo nel mondo moderno» e valutando quindi di entrare «più pienamente nella cultura moderna, adottando i suoi stili e le sue abitudini: l’architettura ecclesiastica modernista e persino brutalista, l’abbigliamento casual, la musica per chitarra, l’influenza suburbana e protestante, etc. – per trasformarlo efficacemente dall’interno».
Eppure non tutto andò secondo programma, e il risultato fu che la cultura secolare «intascò le concessioni e ignorò le idee religiose che tali concessioni avrebbero dovuto avanzare»: concessioni che, chiosa Douthat, inserite all’interno di una cultura palesemente anticattolica come quella attuale, nel breve periodo porteranno inevitabilmente alla «dissoluzione della chiesa stessa».
Di fronte a questo stato di cose, le alternative sono due: o il cattolicesimo torna a imporsi quale cultura a sé stante, autonoma di fronte al mondo; oppure si accetta il fatto che è necessario scendere ancora più a patti con il mondo, facendo «un ultimo balzo nella modernità» e abbandonando – con la liturgia e i costumi – anche i dogmi e legalismi che odorano troppo d’antico.
Ed è in questo dibattito che s’inserisce il pontificato di Francesco, che Douthat ha reso oggetto del suo ultimo libro To change the church. Per il giornalista la posizione di Papa Bergoglio è ambivalente: da un lato si è dimostrato ancorato a idee del passato, per esempio in materia di ecologismo o di economia; dall’altra, le sue aperture alla cultura moderna – specie a quella di matrice protestante di area tedesca – hanno di certo conquistato la stampa, ma hanno anche fatto molto discutere per via del loro palese distacco con la dottrina di sempre.
Di fronte a tutto questo, prosegue il giornalista, occorre stare ai dati di fatto: se da un lato «ci sono poche prove che il progetto di modernizzazione renda moderni i cattolici», anzi pare che le aperture al mondo portino a una diminuzione della pratica di fede, dall’altra è evidente che l’approccio della chiesa post-conciliare nei confronti del mondo rimane un nodo irrisolto, sul quale è necessario interrogarsi e agire di conseguenza.
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