Alcune domande di Francesco Maria Fragiacomo, parroco di Staranzano al proprio arcivescovo (Carlo Roberto Maria Redaelli), in seguito al matrimonio gay di un capo scout della sua comunità. Si vedano anche Il capo scout e le nozze gay, lettera dell’arcivescovo Redaelli, e l’intervento di Francesco Pieri Un educatore gay: sì o no?
Vostra eccellenza, mons. arcivescovo,
mi rivolgo a lei come padre nella fede e maestro nella dottrina. In relazione al suo intervento “Un impegnativo cammino di discernimento ed ascolto dello Spirito”,[1] chiedo alcune precisazioni che ritengo importanti anche in vista di una prassi comune tra noi presbiteri.
La mia non è una provocazione, ma una doverosa richiesta di chiarezza necessaria per il nostro servizio e per la nostra comunione.
1. Ipotizziamo un caso: viene a confessarsi un uomo che dichiara di avere rapporti omosessuali con il suo compagno, con cui convive. Mi chiede un consiglio riguardo ai suoi atti: li deve considerare peccati o no? Cosa gli rispondo? Al di là delle circostanze che certamente, come sappiamo, attenuano o mitigano la responsabilità personale della colpa, possiamo attenerci a quanto riferito nei documenti magisteriali?
«Scegliere un’attività sessuale con una persona dello stesso sesso equivale ad annullare il ricco simbolismo e il significato, per non parlare dei fini, del disegno del Creatore a riguardo della realtà sessuale»;[2] Gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e in nessun caso possono ricevere una qualche approvazione»;[3] «Gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati»;[4] «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia».[5]
Personalmente devo dire che mi risulta davvero difficile ritenere che sia secondo il disegno e il volere di Dio un rapporto sessuale tra due uomini. Se questa persona non riconosce tali atti come peccato, dopo averlo invitato ad un percorso di accompagnamento, gli diamo l’assoluzione?
2. Sant’Agostino ci ha insegnato che il peccato è la privazione di un bene, un dono rifiutato, un vuoto di amore o, direbbe forse papa Francesco, un sogno di Dio che s’infrange.
Un giovane, potenzialmente chiamato ad essere marito e padre, che decide di imboccare la via della relazione omosessuale rafforzandola e confermandola con un patto civile, non si sta responsabilmente privando del bene della paternità, dell’amore nella alterità uomo/donna, della fecondità? E questo, non in vista di un valore alto come potrebbe essere, per esempio, il caso di una vocazione alla vita consacrata. Non sta dunque, precludendosi la strada verso un bene di Dio per una scelta intrinsecamente sbagliata? Quindi, la sua scelta non è da ritenersi già in sé “peccato”?
La particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata. Pertanto, coloro che si trovano in questa condizione dovrebbero essere oggetto di una particolare sollecitudine pastorale perché non siano portati a credere che l’attuazione di tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia un’opzione moralmente accettabile.[6]
3. Sant’Ignazio ci insegna che il discernimento, in senso stretto, va applicato quando ci sono in alternativa due beni. Con la luce dello Spirito e con aiuti umani si ricerca il bene maggiore tra i due. Di per sé l’opzione del “male minore” non esiste nemmeno ma, casomai, si discerne il maggior bene concretamente ora possibile. Quando in oggetto c’è invece l’alternativa tra il bene di Dio e il peccato, il “discernimento degli spiriti” è in funzione della conversione, affinché con la luce dello Spirito, si possa prendere coscienza fino in fondo del male e ricevere la forza di compiere il bene.
Per quanto detto sopra, mi chiedo: la comunità cristiana di Staranzano (o almeno la parte di essa implicata), in relazione al fatto del 3 giugno scorso, con tutte le modalità e implicazioni ormai note, ha bisogno di un cammino di discernimento per scegliere tra due beni o di un percorso di conversione?
La precisazione non è indifferente perché le due vie, evidentemente, hanno modalità, tempi, attese, impostazioni ben diverse! La guarigione dal male, per esempio, ha bisogno di tempo ma, se ne siamo consapevoli, non dovrebbe ammettere ritardi, perché con il tempo il male peggiora. Come lei giustamente ha scritto, qualsiasi «impegnativo cammino di discernimento» non potrà prescindere, dunque, da una conversione personale e comunitaria, con la richiesta allo Spirito Santo della luce sul male, del perdono, del riconoscimento e attuazione del vero bene. Altrimenti, se cercassimo solo una “soluzione pratica” senza un approfondimento vero del caso, sarebbe come coprire con una fasciatura una ferita non curata e il danno, con il tempo, sarebbe peggiore.
Vostra eccellenza, so che non ci farà mancare una risposta, proprio per l’impegno di accompagnamento da lei molto auspicato e che, senza dubbio, desidera anzitutto per i suoi presbiteri. Un accompagnamento che non può prescindere dal rispondere alle questioni importanti e istanze concrete di coloro che “con lei partecipano” al compito di pastore e che possono diventare, anche queste, occasioni di relazione, di vicinanza, di guida, di stimolo e crescita comune verso il bene.
La ringrazio anticipatamente.
Francesco Maria Fragiacomo, parroco di Staranzano (Gorizia)
Staranzano, 9 luglio 2017
[1] Cf. C.R.M. Redaelli, «Il capo scout e le nozze gay», Settimana News del 23.07.2017.
[2] Congregazione per la dottrina della fede, La cura pastorale delle persone omosessuali 7, Lettera del 1° ottobre 1986.
[3] Congregazione per la dottrina delle fede, Persona Humana. 8, Dichiarazione del 20 dicembre 1975.
[4] Catechismo della Chiesa Cattolica 2357
[5] Papa Francesco, esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, 251.
[6] Congregazione per la dottrina della fede, Cura pastorale delle persone omosessuali 3, lettera del 1° ottobre 1986.