Il caso Petrillo, dal nome del protagonista, ha rinfocolato la discussione attorno alla questione della partecipazione di soggetti biologicamente non femmine alle competizioni femminili.
C’è una premessa doverosa: la condizione di una persona, qualsiasi essa sia, non deve essere pretesto per la mancanza del rispetto dovuto. È per me una questione di carità cristiana, di diritto naturale e di educazione.
Detto ed assicurato questo, nondimeno il confronto delle idee non può essere soffocato da una cappa oppressiva ideologica.
Il caso in questione è quello di una persona nata con genetica maschile, gonadi maschili, ormoni maschili, genitali maschili. La stessa persona ha vissuto fino a circa 40 anni una esistenza anagrafica maschile, si è sposata con un soggetto di sesso femminile da cui ha avuto un figlio.
Da quanto si apprende, la disforia di genere di cui ha sofferto già in età infantile, ha portato questa persona ad intraprendere cure ormonali per transitare dalla mascolinità alla femminilità. L’antica passione per l’atletica, ha visto Petrillo gareggiare ed emergere nelle gare di corsa prima maschili e ora femminili nella categoria T13 alle paraolimpiadi per una patologia degenerativa oculare che ha procurato un rilevante deficit visivo.
La cosa che mi sembra meritevole di sottolineatura è come questo caso evidenzi e metta a fuoco l’insostenibilità della posizione assunta dal CIO.
Prendiamo l’affermazione del suo presidente riguardo i due atleti che hanno vinto le medaglie d’oro alle recenti olimpiadi nella categoria femminile della boxe pur avendo cromosomi maschili, secondo l’IBA (International boxing association) e altre fonti.
«Abbiamo due pugili che sono nate donne, sono cresciute come donne, hanno passaporti femminili, e hanno gareggiato come donne per anni. Questa è una chiara definizione di donna», disse Thomas Bach.
Lasciamo perdere la dichiarazione successiva dello stesso presidente con cui egli asseriva l’impossibilità di distinguere scientificamente un uomo da una donna, concentriamoci su questa e vediamo come essa vesta l’atleta Petrillo.
Petrillo è nata donna? Beh, in questo caso non ci sono dubbi, qui abbiamo un atleta che è nato uomo, biologicamente tanto quanto anagraficamente. Almeno fino ai 40 anni il passaporto non è stato femminile e ha gareggiato come uomo per un numero di anni molto di più di quanto abbia gareggiato come donna. Applicare la chiara definizione di donna invocata dal presidente del CIO per questo caso, è un esercizio di contorsionismo logico effettuato con i piedi ben piantati nell’aria.
In un articolo della britannica BBC del 2021 si riporta che prima del cambio anagrafico il nome era quello di Fabrizio. In quell’articolo l’atleta in prima persona dichiara: “Fabrizio no longer exists”, Fabrizio non esiste più.
1) L’affermazione mi ha fatto riflettere. Se Fabrizio non esiste più, perché in tutte le biografie rinvenibili sulla rete attribuire a Valentina Petrillo i successi sportivi raggiunti da Fabrizio?
2) Se davvero Fabrizio Petrillo non esiste più, diventa comprensibile Elon Musk quando ha parlato di uccisione del proprio figlio da parte della transizione ormonale e chirurgica di quel suo figlio maschio che aveva e che ora non esiste più.
Resta intatta tutta la questione della lealtà sportiva nelle competizioni femminili a cui si consente la partecipazione di soggetti che biologicamente non lo sono. Se lo sport è la transazione incruenta dell’aggressività e del dominio umano, se nello sport il motto “à la guerre comme à la guerre” è inconcepibile, se la scienza medico-sportiva mostra che il cambiamento puberale maschile non è annullato dal contenimento farmacologico del testosterone, allora che resta dello spirito sportivo, che resta dell’equità e della correttezza che lo sport pretende di trasmettere come valore ai giovani?
Le persone transessuali hanno diritti personali e con essi il diritto a praticare gli sport desiderati e a misurarsi con i propri pari. È però giunto il momento che la prossima dirigenza sportiva olimpionica riconosca i diritti del pudore, della scienza medica, delle donne, del pubblico e della realtà.
Non c’è sport senza sportività.
(Foto: screenshot canale YouTube Comitato Italiano Paralimpico)
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