I temi che verranno affrontati nel corso del Convegno internazionale organizzato da La Nuova BQ e Il Timone in programma domani hanno la loro origine nel Sinodo sulla famiglia del 2015. Per questo motivo pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un capitolo del libro scritto da Stefano Fontana in uscita in questi giorni «La Nuova Chiesa di Karl Rahner» edito da Fede e cultura.
di Stefano Fontana
Durante il lungo periodo sinodale sulla famiglia caratterizzato dal Sinodo straordinario dell’ottobre 2014 e da quello ordinario dell’ottobre 2015 si sono potuti verificare molti elementi derivati da una impostazione rahneriana delle cose. Rahner, in altre parole, ancorché morto nel 1984, è stato presente al Sinodo. Si potrebbe anche dire che le notevoli contrapposizioni che sono emerse durante i due Sinodi derivano dallo scontro tra l’area della teologia rahneriana e la controparte.
Elementi fortemente rahneriani erano già emersi nella lezione introduttiva al Sinodo tenuta davanti ai Cardinali da parte del cardinale Walter Kasper nel febbraio 2014. Pensiamo per esempio all’idea che non si possa mai conoscere una situazione oggettiva e pubblica di peccato, quale è appunto quella dei divorziati risposati. La tesi espressa da Kasper era che non esistono i divorziati risposati, ma questo, quello, quell’altro divorziato risposato. La realtà, quindi, non mostra strutture portanti e universali, ma solo situazioni uniche individuali. Questo modo di vedere è di origine nominalistica dato che proprio questo diceva Guglielmo di Ockham nel XIV secolo e divenne anche il modo di vedere di Lutero e della filosofia protestante in genere, in quanto è il modo migliore per separare la ragione dalla fede.
Se non esistono nella realtà strutture universali che la ragione possa conoscere con le proprie forze, essa non potrà salire naturalmente dalle cose a Dio, né la rivelazione potrà servirsi del linguaggio della ragione per farsi capire da tutti. La ragione sarà nominalista, ossia potrà fare esperienza di singole cose alle quali, per somiglianza tra loro, potrà poi anche assegnare un nome comune, ma solo un nome che non si riferisce a nessuna realtà oltre le singole cose. La fede sarà fideista. Dio è onnipotente, è il totalmente Altro, è volontà e non verità. La Veritatis splendor di Giovanni Paolo II dice l’opposto di quanto affermato da Kasper, ma quella enciclica aveva alle spalle una diversa filosofia. Anche per Rahner ci sono solo casi particolari da affrontare uno per uno, perché la realtà del mondo è complessa, non c’è una dottrina che vi si possa applicare e non si può conoscere mai se si è o meno davanti ad una situazione di peccato. Davanti ad una coppia di divorziati risposati la Chiesa deva comprendere, accogliere ed accompagnare con un percorso da farsi caso per caso e adoperando il non ben precisato discernimento. Quanto appunto ha proposto il cardinale Kasper.
Durante la discussione sinodale molti vescovi dissero che anche in una relazione omosessuale è presente la grazia di Cristo. Prima, durante e dopo il Sinodo molti vescovi e cardinali si sono detti favorevoli ad affidare compiti ecclesiali agli omosessuali pur se perseveranti nella loro relazione, e ad appoggiare il riconoscimento delle unioni civili tra persone omosessuali da parte dell’autorità politica. E’ evidente che queste prese di posizione comportano l’abolizione del diritto naturale e della legge morale naturale e non tengono conto della necessità di rispettare la natura e le sue leggi se si vuole piacere alla soprannatura e alla grazia. Dire che la grazia è presente anche in una relazione omosessuale significa dire, con Karl Rahner, che la grazia è data sempre a tutti perché essa viene data al mondo, ove non esistono situazioni al di fuori della grazia di Dio.
A ben vedere, anche l’invito alla parresia fatto ai Padri sinodali presenta una accentuazione rahneriana. Essa significa l’accettazione del pluralismo dentro la Chiesa nel senso della moderna libertà di espressione. Questa concezione della libertà di espressione è però diversa dalla libertà in senso cattolico. La parresia consiste nel coraggio di annunciare la verità, senza timori umani o reverenziali o senza la preoccupazione di salvare il salvabile. Non può significare la libertà di esprimere, in un consesso ecclesiale tanto importante come un Sinodo, idee scandalose per i fedeli o sconcertanti o che insinuano dubbi su fondamentali verità di fede professata. Il mondo è senz’altro pluralista, ma la Chiesa non può esserlo. Ma se la Chiesa fa parte del mondo anche essa sarà pluralista come Rahner continuamente afferma.
Però il punto principale della presenza della teologia rahneriana al recente Sinodo sulla famiglia riguarda l’accesso alla comunione dei divorziati risposati, ossia di persone in stato di peccato pubblico e oggettivo. Se il peccato è visto come la morte ontologica (vale a dire del suo stesso essere) dell’anima, allora non si può pensare che sia possibile ricevere la Comunione se prima l’anima non rinasce tramite il sacramento della confessione. Se però si vede la cosa non in senso ontologico ma esistenziale, tutto è reversibile nell’esistenza e quindi è possibile prevedere percorsi esistenziali per cui qualcuno possa accostarsi alla comunione pur rimanendo nella situazione oggettiva di peccato. Qui non c’è più la netta distinzione tra vita e morte, tra bene e male, tra grazia e peccato, tra dogma ed eresia, ma c’è una situazione esistenziale oggetto del nostro discernimento personale ed ecclesiale. Nell’esistenza tutto è convertibile, niente è irrevocabile. Tenuto anche conto di quanto si è già detto, ossia della impossibilità per Rahner di conoscere sia le situazioni oggettive e pubbliche di peccato sia quelle personali. Per lui ci sono le leggi di Dio, ma Dio – egli dice – non è il Dio delle leggi.
Non possiamo poi dimenticare che dal Sinodo sulla famiglia non è emersa nessuna indicazione sulla castità né alcuna indicazione se l’esercizio della sessualità fuori del matrimonio sia peccato. Giovanni Paolo II è stato ampiamente citato ma non lo è stato su due punti in particolare: il divieto di accedere all’Eucarestia per i divorziati risposati e l’esercizio della sessualità fuori del matrimonio, punto ove si decide di accettare o di respingere l’eredità della Humanae Vitae di Paolo VI. Karl Rahner è tra i principali critici di quella enciclica di Paolo VI, anche se certamente non il solo, e per questo si capisce che al Sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015 questa pluridecennale opposizione alla morale sessuale dell’enciclica di Paolo VI ha trovato un punto di condensazione importante. Secondo Rahner la Chiesa non deve “moralizzare”, ossia non deve dare precetti, norme, principi, regole, ma deve formare le coscienze. Che essa debba formare le coscienze è certamente vero, ma i precetti di Dio sono soavi e il suo giogo è leggero, ossia le leggi di Dio esprimono il bene dell’uomo e non si contrappongono alla coscienza. I precetti di Dio non sono astratti sicché la coscienza dovrebbe mediarli verso il concreto. Il precetto e la coscienza si corrispondono. La teologia morale di Rahner è diversa da quella della Vertitatis splendor di Giovanni Paolo II e nel Sinodo sulla famiglia è emersa con evidenza.