Un professore del liceo Cavour di Roma ha, recentemente, rifiutato il compito in classe di una studentessa che si era firmata con un nome maschile di fantasia “Davanti a me ho una donna, non posso riferirmi a te diversamente“. Immediatamente la stampa ha gridato all’ “ennesimo caso di transfobia”, ma è veramente così?
La questione della carriera alias rappresenta uno dei tanti e recenti tentativi di imporre, all’interno delle scuole italiane, la concezione liquida della sessualità che basa non sul dato biologico, ma sulla percezione che si ha di sé, come maschio femmina o altro, la propria identità sessuale. Nel caso del provvedimento in questione, tuttavia, non solo si tenta di imporre una teoria priva di basi scientifiche, ma lo si fa in modo del tutto arbitrario dal punto di vista giuridico. C’è da dire, infatti, che il Ministero dell’istruzione non ha mai approvato una procedura simile e sostituirsi alla norma non compete né al dirigente scolastico, né all’insegnante, né allo studente.
Eppure di abusi, in questo senso, le scuole proliferano. La carriera alias infatti, sta assumendo sempre più l’aspetto di un atto “politico”, che di reale tutela di ragazzi che vivono situazioni particolari, ai quali non viene nemmeno chiesto una documentazione medica che attesti il processo di “transizione” e che giustifichi in qualche modo la richiesta di sostituire nei registri scolastici, negli elenchi e in tutti i documenti interni alla scuola, il proprio nome anagrafico con quello corrispondente al genere in cui si identificano. Infatti, ci sono stati casi in cui dirigenti scolastici, anche in assenza di minori che avessero intrapreso un percorso di transizione, hanno istituito tale procedura, con tanto di comunicati stampa.
Non dimentichiamoci, inoltre, che gli insegnanti, nel compilare i registri, rivestono il ruolo di pubblici ufficiali e, dunque, l’inserimento di nomi che non corrispondono a quelli anagrafici, potrebbe pure configurare – come ben spiegato dall’avvocato Daniela Bianchini del Centro Studi Livatino sul Timone di settembre – un vero e proprio reato di falso ideologico in atto pubblico, previsto dall’articolo 479 del codice penale. Un professore o un dirigente scolastico, dunque, non possono sostituirsi ad un medico o a un giudice amministrativo, eppure succede che proprio chi rispetta la norma, come in questo caso, vengo additato come se fosse la “brutta bestia” della situazione.
Ed è così che ci si prepara al pubblico linciaggio, al liceo Cavour. Per venerdì prossimo, infatti, è in programma un’assemblea straordinaria, durante la quale verrà affrontato l’argomento, ma già i compagni di scuola della studentessa e genitori hanno chiesto alla direzione che vengano prese delle misure legali, contro il professore: “Faremo in modo che nessuno possa dover più vivere eventi del genere, nel luogo dove ognuno ed ognuna di noi dovrebbe essere sé stesso al 100 per cento“.
Un’affermazione che la dice lunga sulle criticità educative che questo provvedimento totalmente arbitrario veicola in sé, insegnando ai ragazzi che le loro richieste vanno assecondate a qualunque costo, contro ogni evidenza medico-scientifico e scavalcando persino la legge. Rimane dunque davvero il dubbio che si stia agendo nel reale interesse dei minori, incoraggiandoli, peraltro, solo in una direzione: quella che va, per di più nella delicatissima fase dell’adolescenza, verso l’alternativa, proposta praticamente come unica soluzione, della “transizione” di genere, senza contemplare piuttosto, in questo senso, la possibilità di un necessario e doveroso atteggiamento di cautela. (Fonte foto: Pexels.com)
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