«Alle 10.30, dopo aver ascoltato messa nella cattedrale di Sant’Isidoro, nei pressi di Buenos Aires, il dottor Sacheri ritornava a casa sul suo furgoncino Ford. Era accompagnato dalla sua sposa, dai suoi sette figli e da altri tre bambini. Nell’entrare in garage, un individuo si avvicinava al finestrino, estraeva una pistola e, appoggiandogli la canna all’orecchio, esplodeva due colpi fatali». Così, il 14 dicembre 1974, il quotidiano spagnolo Abc raccontava la morte del dottor Carlos Alberto Sacheri avvenuta il giorno prima.
LA “MORALITÀ MARXISTA” (CHE UCCIDE)
Per l’Argentina erano anni di piombo, tanto che i guerriglieri – ispirati dall’ateismo marxista – rappresentavano un vero e proprio esercito. L’Ejercito Revolucionario del Pueblo (Erp), di orientamento trotzkista, e i Montoneros, peronisti di sinistra, attraverso lo spregiudicato utilizzo di bombe, rapimenti, sequestri di arei e caserme, pretendevano non solo di conquistare il potere, ma anche di ottenere un riconoscimento internazionale. In nome, ovviamente, di una machiavellica “moralità marxista”.
La vittima più illustre di quella stagione di sangue fu proprio il professor Alberto Sacheri, una delle personalità cattoliche più influenti d’Argentina. Laureatosi in filosofia, invitato a tenere conferenze in Francia, Canada, Spagna, Stati Uniti (oltre che in tutto il Sudamerica), Sacheri fu soprattutto un grande formatore di giovani, che intorno ai temi del diritto naturale, affascinava con appeal e amore per il vero. Di lui è stato detto che «ha reso gentile la verità».
IL MIGLIOR CANDIDATO ALLA PRESIDENZA
Oltre che leader dell’Azione Cattolica, Carlos Sacheri si fece promotore anche del ritorno all’attività della Società Tomista argentina, da anni inattiva poiché colpita dal terremoto che investì il mondo cattolico postconciliare. Conferenziere instancabile, Sacheri si recava ovunque, dalle aule universitarie ai circoli di periferia. «Anche se sono solo tre, io parlo ugualmente», andava tranquillizzando gli organizzatori. In tutte le istituzioni a cui ha partecipato, Sacheri ha lasciato un’impronta indelebile; quella, per usare le parole della figlia primogenita Magdalena, «di un uomo buono, caritatevole, intelligente, allegro e… santo».
A metà degli anni ‘70 Carlos Alberto Sacheri era già molto più di un professore universitario. La politica nazionale gli faceva la corte. Era diventato uno stratega, un uomo di collegamento tra settori e ambiti diversi, magari anche conflittuali, ma comunque intenti a cercare soluzioni per un’Argentina diretta verso un abisso di violenza. Alcuni avevano chiesto per lui il Ministero della Pubblica Istruzione, altri addirittura lo consideravano il miglior candidato alla presidenza che il cattolicesimo potesse offrire al Paese. A soli 41 anni, due proiettili inferti sotto gli occhi di moglie e figli, sventarono qualsiasi possibilità.
«MI HA DONATO UNA VITA SPIRITUALE».
Di Sacheri sono però rimasti i suoi libri, molti e di peso. Primo fra tutti La Chiesa clandestina, uscito nel 1970, opera che aveva dedicato a Paolo VI e in cui metteva in guardia dal rischio di confusione dottrinale in ambito ecclesiale. Le parole pronunciate da Papa Montini nel ’72, appena due anni dopo, sembrarono dargli ragione: «Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di incertezza. Come è avvenuto questo?».
Al di là dei libri, degli articoli e delle conferenze, fu il suo esempio a segnare indelebilmente chi ebbe la fortuna di imbattersi nella sua persona. Molte le testimonianze dei suoi studenti, compresa quella che il padre di Sacheri ha custodito devotamente. Nella nota firmata da un «anonimo studente dell’Uca» – ripresa dal quotidiano La Naciòn in occasione dei 40 anni dalla sua morte – con una semplicità disarmante si leggeva: «Prof. Sacheri, l’amo moltissimo. Le devo quasi tutta la mia formazione intellettuale e buona parte della mia visione del mondo. L’ho amata, più che come amico, come un padre, perché mi ha donato la cosa più preziosa: una vita spirituale».
UNA RIVENDICAZIONE DI STAMPO CLERICALE?
Pochi giorni dopo il suo assassinio, come da prassi, venne rilasciato il comunicato di rivendicazione. È firmato da un fantomatico “Esercito di Liberazione del 22 agosto”, e fa riferimento, insieme a quella di Sacheri, anche alla morte di Bruno Jordán Genta, altro scrittore e attivista cattolico.
Secondo il maggior conoscitore della vita e delle opere di Sacheri, quel Hector Hernandez che al filosofo ha dedicato la biografia più completa (Sacheri, predicare e morire per l’Argentina, ed.Vortice, 2007), la presenza di allusioni ironiche (oltre che profondamente ciniche) rivelerebbe una penna conoscitrice delle cose cattoliche. Nelle 533 parole del comunicato, lo stile clericale si evincerebbe dalle allusioni alla liturgia cattolica, alla ripetuta menzione di Gesù come “Cristo Re” e da diversi altri sottili rimandi all’ortodossia cristiana.
L’esegesi del comunicato– secondo la tesi del biografo di Sacheri e di non pochi intellettuali argentini –porta ad attribuire la morte del pensatore cattolico alla sua lotta contro il “terzomondismo” e la “teologia della liberazione”, le quali, invece di sostenere la conversione del mondo alla Chiesa, miravano esattamente nella direzione contraria. La causa del suo assassinio andrebbe quindi ricercata nella predicazione contro la Chiesa clandestina (non a caso il titolo del suo libro più famoso), ed è per questo che – a detta anche di alcuni vescovi argentini – per lui dovrebbe parlarsi di martirio in odium fidei.
«Non c’è dubbio che Sacheri sia stato assassinato per quello che era: un vero cattolico, un virtuoso, un saggio, un leader straordinario», così Hector Hernandez. Carlos Alberto Sacheri presagiva che i suoi veri nemici erano nascosti in quella Chiesa che strizzava l’occhio al marxismo, tanto che è ancora il suo biografo a segnalare un fosco particolare dal sapore premonitore: «Sacheri aveva chiesto di mettere un testo di Bernanos come fascetta attorno al suo libro: “Saremo fucilati dai preti bolscevichi”».
«SENZA SANGUE NON C’È REDENZIONE»
Il 9 giugno 1973, davanti a più di 1.000 universitari riuniti per un convegno (e dopo che il presidente argentino Héctor Cámpora aveva approvato l’amnistia per i guerriglieri dell’Erp e di Montoneros, facendo sì che il marxismo tornasse a uccidere), il dottor Carlos Alberto Sacheri, con un anno di anticipo, profetizzò la sua morte. Lo fece con queste parole: «Qualche giorno fa leggevo un passo della Scrittura in cui San Paolo parla di redenzione e sangue. Non credo di essere un profeta – anche perché i fatti sono già sotto gli occhi di tutti – ma se noi cattolici, noi universitari cattolici, non siamo disposti a far scorrere il nostro sangue in una militanza eroica, l’Argentina non sarà più cattolica ma marxista. Come dice l’Apostolo: “Senza sangue non c’è redenzione”».
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