Oggigiorno pochi sacerdoti, sempre meno, parlano dei Novissimi, ossia delle “cose ultime”: la morte, il giudizio (universale e particolare), l’Inferno e il Paradiso. O, meglio, talvolta questi concetti emergono nelle prediche ma in maniera incompleta e (almeno in parte) distorta: è esperienza comune quella di andare a un funerale e sentire il prete affermare che la persona defunta è sicuramente già in Paradiso, così come è noto l’adagio per cui l’Inferno, sempre che esista!, sarebbe vuoto.
Eppure, la posizione della Chiesa su questi temi non è mutata: il Signore è giudice sì misericordioso, ma anche giusto. Quindi, già su questa terra, ogni fedele è chiamato a fare memoria del fatto che il corpo fisico perirà («Memento mori!»), ma che quel momento dischiuderà all’anima la vita eterna, di fronte alla quale è necessario farsi trovare pronti («Estote parati!»).
Certo, si tratta di temi “scomodi”, di difficile comprensione, sicuramente controcorrente… eppure, nel contempo, imprescindibili per vivere una vita piena e correttamente orientata verso il Signore. Di questo è convinto il cardinale George Pell*, che sull’argomento ha scritto un lungo e approfondito articolo per First Things, forse la massima rivista di apologetica negli Stati Uniti, dal titolo: “Le cose ultime”.
Rifacendosi a un colloquio avuto nel 1972 con un giovane studente, con il quale è rientrato in contatto durante la prigionia, Pell si interroga sulla crisi di fede, resa evidente dal calo di fedeli, che ha coinvolto la Chiesa cattolica a seguito del Concilio Vaticano II e si domanda, alla luce del fatto che oggi i Novissimi sono spesso «respinti» o quantomeno «ignorati od oscurati»: «La minaccia dell’inferno, la paura di una punizione sproporzionata dopo la morte, ha avuto un ruolo nel declino della Chiesa?».
È vero, riconosce il cardinale, che un tempo molte persone erano scrupolose, ossia vivevano una condizione di profonda sofferenza in quanto convinti di essere destinati alla dannazione eterna ma, si chiede, «c’è un altro lato della medaglia? Il nostro silenzio sulla ricompensa e la punizione dopo la morte ha peggiorato l’indifferenza, distruggendo due dei nostri più avvincenti beni dottrinali?».
«Dio richiede che tutti gli esseri umani scelgano il bene piuttosto che il male, e la fede piuttosto che il dubbio, l’indifferenza o il rifiuto. L’unico vero Dio è quindi anche il giudice finale, che separa le pecore dalle capre, assegnando felicità o punizione eterna nell’ultimo giorno, quando anime buone e cattive allo stesso modo sperimenteranno la risurrezione del corpo». Tutto questo, riconosce Pell, è «un insegnamento duro, cui coloro che si considerano autonomi, autorizzati a definire il bene e il male per se stessi, spesso resistono ferocemente».
Ma anche i cattolici possono trovarsi in difficoltà nel conciliare le due nozioni, apparentemente contrapposte, che parlano di un Dio amorevole e di una punizione eterna, sostiene ancora il cardinale. Egli stesso, afferma, a seguito delle discussioni attorno a questi temi conseguenti alla Lumen Gentium e al Concilio Vaticano II si era convinto che «(quasi) tutti sarebbero stati salvati», in opposizione al pensiero invece espresso – su tutti – da S. Agostino o da S. Tommaso. Tuttavia, a un certo punto, afferma ancora, «le mie opinioni sono cambiate in modo inaspettato» di fronte a una constatazione semplice ma profonda: se tutti si salvano, qual è il ruolo dei sacerdoti? E che senso ha la Croce che Gesù si è caricato sulle spalle per la salvezza dell’umanità?
Ebbene, conclude Pell, oggi lui è profondamente persuaso del fatto che Il Signore è giudice: «La speranza cristiana per il trionfo del bene», chiosa, «richiede il giudizio di Gesù».
*Il Timone ha pubblicato in anteprima in Italia (si veda qui), su concessione della Ignatius Press, un estratto del diario che il cardinale, già capo della segreteria per l’economica del Vaticano, ha tenuto durante il suo periodo di prigione.
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