In un’ampia intervista a Vida Nueva il cardinale Pell torna a parlare della via crucis giudiziaria che lo avrebbe portato a essere condannato in primo e secondo grado, il che ha significato passare 404 giorni in carcere, fino a quando, nell’aprile 2020, l’Alta Corte australiana lo assolse ordinandone l’immediato rilascio.
«Non ho perso la speranza. Devi distinguere tra la speranza cristiana, l’ottimismo umano e le tue previsioni sul fatto che la Corte ti libererà o meno. Dopo le decisioni che erano state prese contro di me, ero sicuro che non ci sarebbero stati più errori e che, alla fine, mi avrebbero liberato. Era l’unica cosa che potevo fare, perché, da un punto di vista forense e legale, la logica diceva che la mia difesa era molto forte. Me l’hanno detto i miei avvocati. Il problema è che si era creata un’atmosfera avvelenata contro di me, contro la Chiesa cattolica e contro i suoi capi», spiega Pell.
Ricorda quindi la sua sorpresa quando è stato condannato al processo d’appello: «Di tutto il tempo che sono stato lì, la cosa più difficile è stata quando mi hanno condannato al secondo processo, quello d’appello. È stata una grande sorpresa per me, perché le accuse erano assurde. Si diceva che avessi aggredito due ragazzi, che nemmeno conoscevo, e in sacrestia, in un momento in cui ci sarebbero state quattro o cinque persone lì e diverse centinaia in tutta la zona. Per me è stato molto difficile, ricordo di aver guardato i loro volti dicendo loro che era falso e ingiusto. Era tutto molto strano, così come le accuse»
Anche l’ostilità mediatica contro cui ha dovuto convivere per tutto il tempo del processo si è resa sempre più evidente: «Ci sono state alcune persone in tribunale che hanno persino detto pubblicamente che potevo essere innocente, ma che qualcuno nella Chiesa doveva pagare. Ero un capro espiatorio. L’accusa di aver abusato di due persone dopo la messa nella sagrestia, che era piena di gente, è incredibile per chiunque abbia assistito alla messa. Una difficoltà del processo è stata proprio che molti membri della giuria non vanno mai in chiesa e hanno l’idea che una cattedrale possa essere un luogo chiuso e buio. È un dettaglio interessante».
Il cardinale racconta come sia uscito di prigione «grato per le tante cose buone che ho avuto e ricevuto nella mia vita. È stata una vita molto bella, lavorare e servire in mondi diversi. Ringrazio Dio per tutto questo e credo che ora comprendo meglio il ruolo che ha la sofferenza nella redenzione. Forse è per questo che la mia fede è ancora più forte ora». Ed è grazie alla sua fede che trova parole di perdono per il suo accusatore: «A volte il perdono è difficile, ma è una decisione che prendi perché sei cristiano e decidi di farlo».
Analizza anche la situazione economica del Vaticano, di cui ha cercato di modernizzare la gestione e rendere più trasparente. dedicando buone parole al suo successore nella Segreteria per l’Economia, il gesuita spagnolo Juan Antonio Guerrero. «Indubbiamente, sono stati fatti passi avanti e il progresso continua. Il mio successore, padre Juan Antonio Guerrero, è un uomo capace e onesto. All’inizio ho parlato a lungo con lui, ma non interferisco con il suo lavoro e non lo vedo regolarmente. Mi fido di lui e sicuramente ha le competenze necessarie. Il Papa ha fatto una buona decisione nell’eleggerlo, anche se mi piacerebbe vederlo cardinale in modo che il suo ruolo sia ancora più riconosciuto e che la sua autorità sia ancora più rispettata».
Ricorda infine le resistenze che trovò in parte della Curia per ottenere una maggiore trasparenza e assicura di che si trattava di uno scontro tra «chi voleva combattere la corruzione, chi ne era coinvolto» e quelli che «hanno chiuso un occhio». La migliore prova di quanto siano “sospetti” molti di coloro che hanno lavorato con investimenti vaticani, a suo avviso, è arrivata con l’acquisto di un edificio a Londra con fondi della Segreteria di Stato, operazione su cui indaga la Giustizia vaticana.
Pell dice concludendo di aver deciso di restare e vivere a Roma, anche se tornerà spesso in Australia, preferibilmente durante l’estate europea, per sfuggire al caldo umido e soffocante della Città Eterna.
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