In questi giorni, in Italia, si parla molto della cosiddetta “cannabis light”, in relazione al pronunciamento del Consiglio superiore di sanità (Css), che – rispondendo a un parare richiesto lo scorso febbraio dal segretariato generale del ministero della Salute – ha dichiarato che «non può essere esclusa la pericolosità dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa» e, dunque, ha raccomandato che «siano attivate nell’interesse della salute individuale e pubblica misure atte a non consentire la libera vendita».
Ad oggi, in ottemperanza alla legge 242 del 2 dicembre 2016, in Italia è possibile coltivare varietà di piante contenenti una percentuale di Thc che va dallo 0,2% allo 0,6%: si parla di circa 2 mila piccoli produttori sparsi sul territorio nazionale, per un guadagno potenziale di 40 milioni di euro. Inoltre, da nord a sud, i grow shop sono oramai oltre 700. Risulta quindi evidente come mai il pronunciamento del Css ha suscitato molto malcontento da parte dei fautori della “cannabis legale”. Al dibattito, ad ogni modo, manca ancora un tassello, che forse si rivelerà dirimente: il responso dell’Avvocatura di Stato, cui il Ministero della salute ha richiesto un parere in merito.
Ma usciamo ora dai confini nazionali per volgere l’attenzione al Canada dove, dopo l’approvazione del Cannabis Act, il primo ministro Justin Trudeau ha annunciato che l’uso ricreativo della marijuana cesserà di essere un crimine a partire dal 17 ottobre.
Il Canada, che durante il recente G7 non ha fatto mistero delle sue posizioni avverse alla legge naturale (aborto senza restrizione, diffusione dell’eutanasia, adesione all’agenda Lgbt…), è dunque il secondo Paese del mondo a consentire la legalizzazione della droga, dopo l’Uruguay. «Secondo la legge», riporta il Catholic Herald, «gli adulti possono possedere fino a 30 grammi di cannabis, coltivare fino a quattro piante di marijuana per famiglia e possono usare la cannabis per preparare prodotti commestibili. Alle persone di età compresa tra 12 e 18 anni è vietato possedere più di cinque grammi (circa 7-10 sigarette) di marijuana. Sarà venduta in punti vendita regolamentati».
Già nel 2017, la Conferenza episcopale canadese aveva definito «imprudente» e «potenzialmente pericolosa» l’eventualità che venisse approvato il Cannabis Act, sottolineando inoltre i comprovati danni fisici correlati all’uso della cannabis. Cannabis che, come le statistiche acclarano, troppo spesso funge da trampolino di lancio verso l’uso di sostanze dagli effetti ancora più gravi.
Alla luce dunque degli ultimi eventi, l’episcopato canadese è tornato a esprimersi, e lo ha fatto in maniera molto chiara e netta. Frank Leo, segretario generale della Conferenza canadese, ha dichiarato: «La virtù della temperanza, come spiegato nel Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2271, ndR), “dispone ad evitare ogni sorta di eccessi: l’abuso di cibo, alcol, tabacco o medicine”. In modo particolare, il catechismo sottolinea che l’uso di qualsiasi droga, tranne che per motivi strettamente terapeutici, è anche una colpa grave, perché l’uso di droghe infligge danni molto gravi alla salute e alla vita umana (CCC, 2291, ndR)».
A Leo ha fatto eco l’arcivescovo di Ottawa, Terrence Prendergast, il quale ha sottolineato come l’uso di sostanze sia rivelatorio del tentativo di fuggire dal peso della responsabilità che la vita pone davanti e che, nella prevenzione al loro uso, un ruolo molto importante è svolto dai genitori, a livello educativo. Oltre a questo, «vescovi, sacerdoti, catechisti, operatori della pastorale dovranno trasmettere un insegnamento sulla temperanza e come questa entra in gioco nelle decisioni che prendiamo» e «le linee guida per i confessori dovranno aiutarli ad assistere i penitenti con una guida saggia in questa materia».
«I nostri corpi sono nostri affinché li usiamo», ha quindi chiosato Prendergast, «ma un giorno dovremo rendere conto al Signore di come ce ne siamo presi cura e di quanto abbiamo fatto. È una buona idea usare consapevolmente una sostanza che produce effetti dannosi? È questa una saggia amministrazione?».
Nel concludere il discorso sulla cannabis, è importante fare una precisazione: l’uso della cannabis con fini terapeutici esula da quanto detto ed è, secondo la dottrina ecclesiastica, lecito (cfr. CCC, 2291). A questo proposito è tuttavia utile riportare quanto evidenziato dal biologo Enzo Pennetta su Critica scientifica: «Il principio attivo responsabile del maggiore effetto ai fini terapeutici riguardo a patologie infiammatorie, immunitarie, psichiatriche è il cannabidiolo (CBD), mentre la sostanza di interesse tossicologico è principalmente il tetraidrocannabinolo (THC). Nelle piante coltivate a scopo “ricreazionale” negli anni ’90 il contenuto medio di sostanza attiva (THC) era tra il 3 e il 4,5%; nel 2008, questo valore era salito all’8%, nell’ultimo decennio sono state infine prodotte diverse varietà di cannabis con un contenuto di THC superiore al 20%, in alcuni casi fino al 30%». Dunque, quando nel dibattito l’attenzione è focalizzata sul THC, deve apparire evidente che il vero fine del discorso non è volto a fini terapeutici.
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