Grazie al gol del brasiliano Vinicius Junior al 59’, lo scorso sabato il Real Madrid ha potuto alzare – per la quattordicesima volta su 67 edizioni totali, registrando anche qui un primato – la Coppa dei Campioni.
Una festa in parte preannunciata, anche se i 90 minuti disputati sul campo non sono mai scontati, come sono soliti ripetere in ogni occasione gli allenatori di tutto il mondo nelle interviste pre-partita o nel discorso motivazionale ai loro giocatori negli spogliatoi. E di certo “Carletto”, come è soprannominato il nostro Carlo Ancelotti, allenatore da appena un anno della formazione spagnola, sabato sera non sarà stato da meno, nel caricare i suoi.
Ad ogni modo, archiviata la giornata di sabato e concessa ai giocatori qualche ora di sonno, domenica il Real ha lasciato Parigi ed è volato in patria, dove la festa, in buon stile spagnoleggiante, è iniziata alle 18 di pomeriggio e ha visto un tripudio di gente, gioia e colori.
La prima tappa dei festeggiamenti, conclusisi in tarda serata allo Stadio Santiago Bernabeu? Alla Cattedrale dell’Almudena, per offrire alla Vergine – come da tradizione decennale – la coppa conquistata neanche 24 ore prima in Francia, unitamente a quella vinta con il trionfo in Primera División, massima serie del campionato di calcio spagnolo.
A fare gli onori da casa, l’Arcivescovo di Madrid, Carlos Osoro, che durante una cerimonia semplice e piuttosto breve, ha salutato la squadra «con affetto e gioia» e ha proseguito: «Guardando la partita ieri sera, ho visto cosa significa costruire una cultura di squadra. È stimolante condividere un cammino con gli altri, sostenersi a vicenda nella ricerca del successo e impegnarsi per creare una rete di relazioni che possa fare della vostra vita insieme un’esperienza di fraternità e una carovana di solidarietà. Vi ringrazio sinceramente per ciò che avete ottenuto».
Il cardinale di Santa romana Chiesa ha quindi richiamato san Isidoro, al quale è dedicato un Anno Santo, dicendo che i giocatori hanno, come lui, portato il nome di Madrid nel mondo. Terminato il discorso del prelato, è stato il momento di alcune preghiere, lette dall’ex calciatore Emilio Butragueño, oggi direttore delle Relazioni Istituzionali del Real Madrid, una delle quali invocava su ognuno dei presenti la grazia di sperimentare nella propria vita la protezione materna della Vergine Maria. È stato il momento di un canto alla Vergine dell’Almudena e della sentita benedizione da parte dell’Arcivescovo.
Naturalmente, un po’ come succede per le uscite scolastiche, ci saranno quei giocatori che avranno varcato la soglia della Cattedrale controvoglia e quelli che avranno accolto l’impegno con entusiasmo, chi sarà stato animato da scetticismo e chi da devozione. Ognuno conosce l’intimo del proprio cuore. Ma di per sé una valutazione puntuale poco importa perché, proprio come nel rettangolo di gioco, a vincere in questo bel gesto devozionale non sono state tanto le singolarità, quanto la coralità nel vivere un impegno pubblico controcorrente, che fa del Real Madrid un club anche di campioni dell’anima, oltre che del pallone.
Chiaramente, tuttavia, nel porre l’accento sul “fattore squadra”, non si annulla l’incidenza dei singoli. E se sull’erba verde del Bernabeu o dei campi delle squadre avversarie non si può dire che tutto il merito di una vittoria stia nel guizzo del centravanti, o nel piede di velluto del regista che riesce a confezionare ripartenze fulminanti, oppure nella saracinesca posta dal centrale di difesa, o ancora nei voli d’angelo del portiere che riesce a sventare anche i palloni destinati all’incrocio dei pali, è comunque vero che una squadra è fatta di tante personalità, ognuna delle quali può (… è chiamata!) a dare il proprio contributo.
Lo stesso è con la fede: ogni testimonianza ha valore, ancora più se compiuta da persone che hanno un grande seguito di pubblico.
Sabato sera, dopo il trionfo sul Liverpool, lo ha dimostrato il fuoriclasse come David Alaba che, come già in passato, ha indossato senza vergogna la maglietta con il suo motto: «La mia forza è in Gesù» (estratto da Filippesi 4,13: «Io posso tutto per mezzo di colui che mi dà forza»). Come dire: a neanche 30 anni, il difensore ex Bayern Monaco non fa mistero di aver scelto la «parte migliore», che non gli «sarà tolta».
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