Il giorno in cui si celebrava il Corpus Domini in Brasile le chiese evangeliche del Paese hanno dato una dimostrazione di forza impressionante.
Più di cinquecento Chiese hanno portato a sfilare per le strade del centro di San Paolo oltre 340 mila persone. Gli organizzatori, con un entusiasmo comprensibile anche se forse non precisissimo, l’hanno definto “l’evento cristiano più grande del pianeta”.
La folla ha marciato per vari chilometri dietro dieci Tir attrezzati con apparecchiature sonore, versò una piazza nel centro della sterminata città per assistere a spettacoli di musica religiosa che sono durati per circa dodici ore, dalle 10 del mattino alle 22. La copertura sui social e su internet era accuratissima: live tweets, video e anche una copertura di Snapchat.
La marcia evidenzia soprattutto la crescita straordinaria dei cristiani evangelical, a scapito di una Chiesa cattolica fra le più progressiste al mondo. Il suo principale esponente a Roma è il cardinale Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per i religiosi, il “grande inquisitore” dei Francescani dell’Immacolata e ispiratore del rescritto con cui il Papa restringe l’autorità dei vescovi in materia di istituti religiosi diocesani e la libertà dello Spirito.
Un documento che – dicono – sia motivato dal desiderio di indirizzare verso gli ordini “tradizionali” in evidente crisi di vocazioni i germogli religiosità che spuntano nella Chiesa.
Ma appare chiaro che la Chiesa cattolica brasiliana sta perdendo la sfida nei confronti delle nuove Chiese evangeliche. Nel 1960 i “reborn” non erano più del quattro per cento della popolazione del Paese, a fronte di una maggioranza cattolica totalizzante. Adesso almeno un brasiliano su quattro appartiene a una di queste nuove formazioni religiose protestanti, e la tendenza pare sia quella di una crescita che li porterà ad essere il 30 per cento dei credenti del Paese.