Se non è una mela spaccata esattamente in due, davvero poco ci manca: siamo lì. Il Brasile uscito dalle urne delle scorse ore, infatti, non decide la sfida tra Luiz Inacio Lula da Silva (Pt, forza di sinistra 48,43%) e Jair Bolsonaro (Pl, forza di destra, 43,20%), con i due che restano separati – a vantaggio del primo – da 5 punti percentuali, pari a circa 6 milioni di voti. Tanti, troppi a detta dell’ex presidente, che a questo punto si dice già sicuro della vittoria finale attraverso una dichiarazione eloquente: «Non ho mai vinto al primo turno, ma poi vinceremo».
Molto soddisfatta del primo turno anche la valutazione fatta da Bolsonaro, che conti alla mano ha dichiarato: «Contro tutto e contro tutti, abbiamo avuto al primo turno una votazione più espressiva di quella che abbiamo avuto nel 2018. Quasi 2 milioni di voti in più». Sono numeri che, in effetti, parlano da soli e che, se non (ancora?) contro il rivale, segnano di certo già una vittoria contro i sondaggisti, che davano il presidente uscente se non spacciato certo in enorme difficoltà. Invece le urne hanno dato un responso totalmente diverso.
Addirittura, dai primissimi dati diffusi dalla Corte Suprema Elettorale risultava essere in testa proprio Bolsonaro. E comunque l’esito finale – a fronte del quale tutto è rinviato al ballottaggio del 30 ottobre – un po’ l’amaro in bocca deve averlo lasciato a Lula che, al termine della serata ha raggiunto l’avenida Paulista – uno dei viali più importanti della città di San Paolo – già prenotata per il bagno di folla della svolta, e ridotta invece, come anche la cautissima Ansa è costretta a riportare, a teatro per un abbraccio coi sostenitori.
Assai efficace, su questo, la sintesi fatta non da qualche giornalaccio populista, tutto bufale e propaganda, bensì dal New York Times: «Per mesi sondaggisti e analisti dicevano che il presidente Jair Bolsonaro era condannato. Ha dovuto fare i conti con un grande e incolmabile svantaggio nella corsa alla presidenza del Brasile e, nelle ultime settimane, i sondaggi hanno lasciato intendere che avrebbe potuto persino perdere al primo turno, ponendo fine alla sua presidenza dopo un solo mandato. Invece, ieri era Bolsonaro a festeggiare. Ha superato di gran lunga le previsioni».
Tutto questo, inevitabilmente, ripropone un tema per nulla trascurabile e già emerso nella storia elezione di Donald Trump del 2016, in occasione della Brexit e, più banalmente, anche della rimonta elettorale italiana di Giuseppe Conte e del Movimento 5 Stelle: l’affidabilità effettiva dei sondaggi. Che, tornando al Brasile, assegnavano al “leader operaio” un vantaggio imponente che avrebbe dovuto regalargli la vittoria al primo turno. Invece, lo abbiamo visto, la musica è stata ben diversa. Quindi delle due l’una: o i sondaggisti cambiano mestiere oppure smettono, pure da noi, di fare il tifo per una squadra. Che poi stringi stringi, ci si faccia caso, è sempre la stessa.
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