Da ore non si discute d’altro, nella politica italiana. Stiamo parlando del ddl proposto dalla Lega Camera per incentivare i matrimoni attraverso un bonus per un massimo di 20.000 euro, consistente in una detrazione d’imposta fino al 20% su varie voci di spesa connesse, appunto, ai matrimoni. Inizialmente questa iniziativa legislativa – depositata da Domenico Furgiuele, Simone Billi, Ingrid Bisa, Alberto Gusmeroli ed Erik Pretto -, doveva riguardare solo i matrimoni con rito cattolico. Le polemiche e le critiche sull’asserita incostituzionalità della proposta hanno però portato la Lega a correggere il tiro, allargando la proposta a tutti i matrimoni, sia civili che religiosi.
Ora, senza addentrarci nel merito politico e tanto meno giuridico di un simile ddl, tocca osservare che c’è un aspetto curiosamente sfuggito sia ai critici dell’iniziativa leghista tanto, per paradosso, sia agli stessi deputati che l’hanno presentata, i quali si sono limitati a richiamare l’importanza di «incentivare il settore del wedding». L’aspetto è in questione il vasto insieme di benefici educativi, demografici e sociali legati al matrimonio, specie se religioso. Sì, perché le nozze e ancor più quelle in chiesa – riscontri alla mano – rappresentano un tesoro le cui ricadute positive vanno ben oltre, senza offesa, il pur rispettabile «settore del wedding». Vediamo perché.
Tanto per cominciare, possiamo dire – citando non la Lega, ma quanto annotava l’Istat già una decina di anni or sono, nel report Separazioni e divorzi in Italia – che «la propensione a separarsi nei matrimoni celebrati con il rito religioso sia molto inferiore rispetto a quella nelle nozze civili». Ma meno separazioni e meno divorzi vuol dire pure meno impoverimento (tanto che persino Bloomberg, la laicissima agenzia di stampa tra le più note al mondo, tre anni fa ha accostato l’instabilità coniugale ad una «rovina sociale») meno conflitti, meno conseguenze per i figli, con quelli che subiscono la fine delle nozze dei genitori più esposti a condotte anti sociali, rischi di ansia, depressione, comportamento delinquenziale.
Se poi, oltre a sposarsi in chiesa, una coppia vive la propria fede in modo serio e continuo, i benefici si fanno ancora più evidenti, con le probabilità di divorziare che si riducono dal 30 al 50%. Ad ogni modo, non va sottovalutato – specie dopo il tornado sanitario della pandemia – anche un aspetto di salute pubblica. Sì, perché il matrimonio – ci informa anche qui non il Carroccio bensì l’Università di Harvard – fa sì che rispetto al single chi è sposato tenda a «a vivere più a lungo; ad avere meno ictus e attacchi di cuore; ad avere meno probabilità di sperimentare la depressione – e meno di avere un cancro avanzato al momento della diagnosi con maggiori probabilità di sopravvivervi; più probabilità di sopravvivere ad un’operazione importante».
Scusate se è poco. E tutto questo restando al solo lato individuale e domestico, per così dire. Se si allarga lo sguardo si scoprono anche benefici nuziali più vasti, con il matrimonio – specie quello che unisce coppie ancora giovani – che è forse il miglior antidoto all’inverno demografico. Parola, tra i tanti, del ricercatore e demografo Lyman Stone, secondo cui «il matrimonio è un motore vitale dei tassi di natalità. E fintanto che l’età media del primo matrimonio aumenta e diminuisce il numero di primi anni fertili che la donna media trascorre sposata, possiamo solo aspettarci che fertilità resti bassa».
«Qualsiasi politica pro natalità», osserva ancora Stone, «per quanto generosa, che non influisca in qualche modo anche sulle tendenze del matrimonio, è improbabile che aumenti la fertilità a lungo termine». Inutile aggiungere, tanto è ovvia la cosa, come il matrimonio tra coppie giovani e religiose sia quello ancor più legato alla natalità. Ancora, il matrimonio è un antidoto alla violenza sulle donne. Dati statunitensi ufficiali, del Dipartimento di giustizia, mostrano difatti come le donne sposate abbiano una probabilità assai inferiore di restare vittime di violenza da parte del partner rispetto alle single o si trovano in altri contesti affettivi. Strano, vista l’attualità del tema violenza, che tale dato non venga quasi mai ricordato.
Allo stesso modo, curioso che non si parli mai dell’effetto che il matrimonio può avere su un versante assai caro alla Lega: la sicurezza. Più le coppie stabili sono diffuse, in una comunità, minori son infatti le probabilità che si verifichino crimini. Un’influenza positiva del partner, fa presente una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Journal of Marriage and Family è associata perfino alla riduzione di recidiva. Morale: che si parli di demografia o di psicologia, di benessere individuale o di lotta a degrado e devianza, tentare di promuovere i matrimoni a livello politico non è un’idea buona, ma eccellente. Che poi ciò sia compreso in un’epoca in cui slogan e diatribe prevalgono sul ragionamento, ecco, questo è un altro discorso (Foto: A. Perelmuter, Pexels.com).
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