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18.12.2024

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Bloccanti della pubertà, frena anche il Comitato di bioetica
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18 Dicembre 2024

Bloccanti della pubertà, frena anche il Comitato di bioetica

Un invito alla prudenza che però suona come un allarme rivolto a chi, negli ultimi anni, sia in ambito medico che psicologico, spinge i ragazzi che esprimono un forte disagio nei confronti della propria identità sessuata, a un percorso farmacologico prima e chirurgico poi che si rivela sempre più dannoso per chi lo subisce, soprattutto se minorenne. Psicologi e medici che non solo illudono giovanissimi con disagi di varia natura che davvero sia possibile “cambiare sesso”, ed eliminare così il disagio, ma che non esitano ad avviarli a trattamenti, come quello con la triptorelina, i cui effetti, anche irreversibili, sono ancora molto poco noti.

Il nuovo parere richiama quello del 2018, già allora si faceva notare che «l’uso del farmaco per la disforia di genere negli adolescenti è caratterizzato da incertezza: non esistono studi di sicurezza e dati sufficienti di follow-up in grado di rassicurare sulla mancanza di effetti collaterali a breve e a lungo termine. Non risulta sufficientemente provato se l’interruzione della pubertà fisiologica possa avere conseguenze negative sulla crescita, sulla struttura scheletrica, sull’apparato cardio-vascolare, neurologico-cerebrale e metabolico e sulla fertilità. I dati disponibili sono di tipo aneddotico, osservazionale o narrativo per quanto riguarda sicurezza ed efficacia: senza adeguati controlli sperimentali è impossibile un giudizio scientifico sui rischi».

Rilievi che negli ultimi anni hanno portato ad epocali inversioni di marcia in Paesi come la Svezia, la Norvegia, considerati “pionieri” nel cosiddetto trattamento per la disforia di genere che tuttavia, di fronte all’evidenza dei danni causati, hanno dovuto fare più di un passo indietro. La stessa cosa è successa nel Regno Unito dove pochi giorni fa il Dipartimento della salute e dell’assistenza Sociale ha annunciato che le «misure di emergenza», introdotte a marzo per limitare la prescrizione dei cosiddetti bloccanti della pubertà, diventeranno permanenti. La decisione, ha rimarcato il ministro della Salute, Wes Streeting, si basa sul parere di esperti che rimarcato l’esistenza di un «rischio inaccettabile per la sicurezza» per i minorenni.

E proprio alla luce di questi rischi il Comitato Nazionale di Bioetica mette un freno anche per il nostro Paese. «Considerata l’incertezza sul rapporto rischi/benefici del blocco della pubertà con triptorelina – si legge –  il CNB auspica che le prescrizioni avvengano solo nell’ambito delle sperimentazioni promosse dal Ministero della Salute e che i pazienti aderiscano ad esse». Si precisa poi che «non si tratta di un invito ad aumentare le prescrizioni per supportare una sperimentazione, ma di limitare al massimo l’uso del farmaco, purtroppo già legittimato, inserendolo esclusivamente in studi rigorosi e in percorsi terapeutici ben definiti. Questo consentirà, da un lato, di evitare abusi e di promuovere percorsi informati al principio di massima trasparenza, dall’altro di monitorarne gli esiti: se negativi, sarà possibile impedire questa pratica». Non uno stop totale purtroppo, ma sicuramente un freno importante in un contesto che spinge all’unisono nella direzione opposta.

«Quello che emerge dal parere del Comitato Nazionale di Bioetica è un vero e proprio allarme sull’uso della triptorelina in Italia per bloccare la pubertà nei minori con disforia di genere – osserva Jacopo Coghe,  portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus che rilancia esortando l’esecutivo, e in particolare il Ministero della Salute, ad andare fino in fondo «a fermare immediatamente questo intollerabile far west sanitario sulla pelle dei minori».

Da registrare anche la reazione dei genitori di Generazione D, che abbiamo intervistato sul numero di dicembre del Timone (qui per abbonarsi): «Come associazione di genitori di ragazzi con incongruenza di genere, e più semplicemente come cittadini italiani, abbiamo la speranza che l’esperienza acquisita negli altri Paesi cominci a essere seriamente presa in considerazione nel sistema sanitario italiano, superando i muri di certezza proposti dalle nostre istituzioni sanitarie, che continuano a minimizzare le conseguenze riferibili all’uso dei farmaci in questione, come si può continuare a leggere nei portali delle aziende ospedaliere che offrono tali trattamenti.

La “expertise”, che nell’attuale contesto si sovrappone quasi completamente all’approccio affermativo, è da tempo chiamata a mettersi in discussione – rimarcano ancora. È una materia complessa, nella quale appoggiarsi a protocolli di scarsa legittimazione rappresenta un rischio concreto, come riconosciuto nei vari paesi ma, non ancora, in Italia». Parole di semplice buon senso, ma che oggi – nell’epoca della celebrazione continua e indiscussa della fluidità di genere, nell’epoca dell’approccio affermativo imperante dove la bussola è unicamente proprio benessere percepito nel dato momento – suonano come la voce di uno che grida nel deserto.

Ma nel deserto, grazie al cielo, comincia a sentirsi ormai ben più di una voce. Che sia l’occasione per andare fino in fondo.

(Fonte foto: Ansa)

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