«Lasciatemi andare a Kiev a prendere mia figlia nata da madre surrogata». Il titolo dell’articolo di Maria Novella De Luca sul Corriere della Sera del 15 maggio è un grido di dolore. A parlare è Angela, una donna di 55 anni di Milano che è in attesa di poter andare a ritirare Stella, la bimba ottenuta grazie alla BioTexCom, di cui probabilmente non sapremmo nulla se l’emergenza Covid non avesse impedito ai committenti di andare ritirare il “prodotto” a Kiev. La pandemia ha bloccato i viaggi e così è venuta a galla la vicenda della hall dell’hotel Venezia, piena di bimbi commissionati da coppie, omosessuali ed eterosessuali, occidentali. Tra loro c’è Stella, nata col seme di Francesco, il marito di Angela, gli ovociti di una “donatrice”, che non dona in realtà, poiché viene pagata per questo, e l’utero di una cosiddetta madre gestante, ucraina.
L’intervista è scritta per far breccia nei sentimenti, per far percepire la “surrogacy” come un atto di altruismo. Dice la donna: «Mica mi vergogno. Sapete quanto è amara la sterilità? Sono diventata mamma sul dolore di un’altra donna, lo so. Ma grazie anche a noi la sua famiglia potrà vivere meglio». Peccato che Angela, per quanto doloroso e profondo sia il suo desiderio di maternità, non sia “diventata mamma” e che questa “altra donna” sia stata sfruttata. Alla domanda: «Quanto avete pagato?» risponde così: «Il pacchetto totale per la nostra maternità surrogata era di 40 mila euro, modello standard. Ma c’è anche il pacchetto vip che costa 70 mila euro. Ho fatto tre bonifici per un totale di 30 mila euro direttamente alla mamma ucraina». Per scoprire però la realtà sui costi, e su come vengono ripartiti, basta andare sul sito della agenzia.
Alla sezione “servizi”, tra le voci ci sono i “Pacchetti per la surrogata”. In effetti sono due, uno All Inclusive Standard, con «attesa prevista di circa un anno», al costo di 39.900 euro e un «All Inclusive Vip», con attesa ridotta a quattro mesi e prezzo più alto, 64.900 euro. Come ogni pacchetto che si rispetti per l’acquisto ci un prodotto c’è l’elenco delle voci incluse nel prezzo. Il pacchetto standard comprende: «Test medici e controlli per tutti i partecipanti al programma (genitori d’intenzione, surrogata e donatrice), illimitati cicli di fecondazione assistita, monitoraggio della gravidanza, esame per rilevare possibili anomalie genetiche, supporto legale e pratiche burocratiche che comprendono contratto di surrogazione, supporto nell’ottenimento del certificato di nascita per il bambino, documenti di viaggio per lasciare il Paese, trasporto, vitto, alloggio in una stanza di hotel, smartphone e carta Sim dedicata». Non è quindi l’intera somma ad essere versata alla cosiddetta mamma surrogata ma ovviamente solo una parte di quei 39.500 euro vanno a lei. Quanto non è dato sapere, di certo si tratta di uno sfruttamento a pagamento. Lasciamo al lettore la visione di quello che comprende il pacchetto Vip, perché vedere il sito è un bagno di realtà per capire che cosa sia realmente questa pratica.
E’ infatti tutto alla luce del sole, sul sito, sui profili Facebook e Instagram dell’agenzia BioTexCom, ma anche di altre agenzie del Paese tra cui la Feskov. Nonostante gli articoli di giornale, gli impedimenti dei viaggi causa Covid e nonostante l’appello dei vescovi ucraini che ribadiscono: «Nessuna circostanza può giustificare la pratica della maternità surrogata».
Peccato che questo in Italia non lo abbia detto nessuno, nessuna istituzione s’intende. Perché è vero che la pratica al momento nel nostro Paese è illegale, ma è altrettanto vero che le numerose voci che si sono levate, queste sì, dal premier Conte al Capo dello Stato Mattarella, da Spadafora a Fico passando per i ministri Gualtieri, Bonetti e Catalfo in occasione della “giornata per la lotta all’omofobia”, domenica scorsa, sembrano andare decisamente in direzione opposta. Il ministro Bonetti ha dichiarato «La ripartenza del nostro Paese passa attraverso anche la rimozione di tutti gli ostacoli che oggi impediscono di garantire uguali diritti per tutti». Di quali diritti negati parla? Risponde prontamente Repubblica che nell’edizione di domenica pubblica nuovamente la storia di Carlo Tumino e Christian De Florio che con l’utero in affitto hanno ottenuto due bimbi nati in California. Nell’articolo nessun riferimento al costo della pratica dell’utero in affitto, allo sfruttamento del corpo della donna, ai bimbi morti in fase embrionale nei processi di fecondazione assistita e poi buttati via. Solo fotografie di baci, e racconti alla “love is love”. Ecco perché le cliniche come BioTexCom continuano ad operare alla luce del sole.
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